Lo scherzo telefonico a Giorgia Meloni, tra norme di protocollo e falla nella sicurezza della premier

Non si placa la bufera sullo scherzo telefonico a Giorgia Meloni. Dopo che la premier è stata beffata dai comici russi Vovan e Lexus, da Palazzo Chigi è arrivata una difesa d’ufficio, insieme al tentativo di limitare la portata di quanto accaduto. C’è però chi, soprattutto dall’opposizione, sottolinea una evidente falla nella sicurezza della presidente del Consiglio. Ai microfoni di Virgilio Notizie una fonte diplomatica, che ha chiesto di restare anonima, ha spiegato cosa è successo, analizzando anche cosa prevede il protocollo.

La comunicazione ufficiale segue la precedente ammissione relativa al fatto che la telefonata sia stata possibile a causa di una “falla”. In sostanza, ci sarebbe stato un errore attribuibile all’“ufficio del Consigliere.

Lui stesso ha poi definito “sconcertante che i nostri collaudati protocolli di sicurezza di Palazzo Chigi possano essere aggirati e penetrati in modo così plateale”.

Al di là delle polemiche politiche, anche esperti di diplomazia ammettono che qualcosa deve essere andato diversamente rispetto ai tradizionali protocolli della comunicazione internazionale: “Sicuramente la questione genera un po’ di imbarazzo, perché è evidente che qualcosa non è andato come avrebbe dovuto”, osserva  una fonte diplomatica, che ha lavorato a lungo nelle Ambasciate d’Italia e in questa veste ha gestito anche rapporti e contatti tra rappresentanti italiani e personalità internazionali.

“Il percorso tradizionale prevede che questo tipo di telefonate passi dall’Ufficio diplomatico del presidente del Consiglio, ma non è detto: magari in questo caso la premier può aver delegato l’azione di filtro alla propria segreteria particolare. In linea teorica le telefonate tra leader si negoziano e si passa sempre dagli uffici diplomatici deputati. Ultimamente, però, molti politici si affidano proprio ad altre figure, a loro vicine, di tipo politico. Ma certamente un filtro c’è, ci deve essere e c’è sempre stato”, aggiunge l’ex ambasciatore.

Difficile trovare precedenti del genere: “Nella mia esperienza non è mai accaduto nulla del genere. Tutte le volte che abbiamo messo in contatto ministri o personalità anche di rango superiore c’è sempre stata una presa di contatto precedente, fissando un appuntamento telefonico. Insomma, si sa in precedenza chi chiama, chi risponde, da che numero, eccetera. La telefonata avviene tramite centralino e ufficio specifico, quindi tutto procede in modo molto lineare e chiaro”, chiarisce l’ex diplomatico, che però aggiunge: “Da quando, però, i rapporti tra ministri o altre personalità istituzionali sono aumentati e diventati più frequenti, quasi giornalieri, capita anche siano loro stessi a prendere l’iniziativa di chiamarsi, ma in ogni caso si passa da qualche filtro, in genere almeno la segreteria particolare”.

In passato ci sono stati esempi di rappresentanti del Governo, come l’ex ministro degli Esteri Giovanni De Michelis, che era solito avere molti contatti telefonici: “In caso di ministri particolarmente ‘dinamici’ è possibile che si superino in alcuni casi questi schemi predefiniti. In genere più la telefonata è formale, maggiore è il rango di chi chiama e maggiore è il filtro nelle comunicazioni dirette successive”, sottolinea la fonte.

La tecnologia, quindi, in questo caso non sembra avere avuto alcun ruolo: “Pare, secondo le ricostruzioni, che qualcuno abbia chiamato l’ufficio e questi a sua volta lo abbia messo in contatto con la presidente del Consiglio. Purtroppo sembra venuta meno la ‘protezione’ che i protocolli tradizionali garantiscono alle personalità politiche: non è pensabile che chiunque possa chiamare impunemente un primo ministro. Detto questo, bisognerebbe capire quale sia l’organizzazione dell’attuale capo di Governo e di Palazzo Chigi, le cose possono cambiare nel tempo e a seconda di chi si tratta”.

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