‘L’età fragile’, di Donatella di Pietrantonio, Einaudi

Quand’è che i nostri figli smettono di appartenerci? Ma ci sono poi appartenuti davvero?

C’è un tempo in cui la loro esistenza dipende direttamente dalla nostra, impariamo a decodificare il loro linguaggio, le loro richieste d’aiuto, i loro malcontenti. Anticipiamo le loro esigenze, plasmiamo i loro pensieri e poi li lasciamo liberi nel mondo.

Ed è qui che i nostri figli diventano persone, individui, con i loro drammi, le loro idee e i loro ricordi privati. Noi non abbiamo più accesso ai loro pensieri più reconditi, non sappiamo più se quella ruga che gli corruccia la fronte è causata da un amore fallito, da un lavoro stressante o da una vita infelice.

Coloro che un tempo erano le persone che conoscevamo meglio, diventano un enigma, come tutti gli altri.

Questo è quello che prova Lucia quando sua figlia, Amanda, appena ventenne torna a vivere a casa in Abruzzo, durante la pandemia, dopo qualche mese di vita da fuorisede a Milano.

Amanda non sorride più, è contrita, è fuggita da Milano portandosi dietro tutto, tranne i libri di testo dell’università. Passa le giornate a dormire e le notti a vagare chissà dove, mangia a malapena e soprattutto è chiusa in un silenzio assordante che sua madre non riesce ad interpretare.

Ogni tanto Amanda tira fuori qualche parola affilata che ha il potere di ferirla e che la fa sentire come un soldato sul campo nemico, sempre sull’orlo di saltare in aria.

La vita di Lucia è fatta di incomunicabilità, con suo marito che, senza che se ne accorgesse, si è allontanato più di quanto si aspettasse, con suo padre, uomo di campagna rude e silenzioso, che parla solo dando ordini ed è incapace di mostrare amore ed empatia. Ma anche con Doralice, la sua amica di infanzia, con cui ormai non parla più da anni, perché quello che l’ha coinvolta è talmente terribile da non lasciare parole.

Ed è su questo evento che la memoria di Lucia torna ossessivamente, da quando suo padre le ha intestato un terreno, di loro proprietà da generazioni, che è stato però teatro di una vicenda che ha sconvolto le vite di tutto il paesino, compresa la sua.

Su quel terreno, sull’Appennino, sotto il Dente del Lupo, si ergeva un campeggio, di proprietà di Osvaldo, caro amico del padre di Lucia, e padre di Doralice, e ora in stato di totale abbandono.

In quel campeggio l’adolescenza delle due amiche è stata felice e spensierata, immersa nella natura aspra e verdeggiante dell’Appennino, a contatto con turisti e visitatori provenienti da ogni dove, e pastori impegnati a far brucare il gregge. Tutto questo fino al giorno in cui le due sorelle appena ventenni Tania e Virginia Vignati, ospiti del campeggio e Doralice scompaiono nel nulla per una notte intera.

I ricordi di Lucia vagano durante tutto l’arco del libro agli eventi che si sono susseguiti da quella notte in poi.

È solo un caso se quel giorno non si trovava con loro, cosa che vivrà per sempre come una colpa.

Durante quella notte viene interrogata a lungo, dalla Sceriffa e da Osvaldo, madre e padre di Doralice. Hanno la speranza che lei possa sapere qualcosa, che possa fornirgli un indizio che li aiuti a capire cosa potrebbe essere successo. Lucia però non sa nulla e per la prima volta, quella notte, fa esperienza di una paura mai provata prima e che le rimarrà addosso, negli anni, come una cicatrice mai rimarginata davvero.

Quello che viene scoperto durante la notte, è di una violenza inimmaginabile: l’omicidio efferato delle due sorelle Vignati. Solo Doralice viene trovata viva, in una fattoria, sconvolta e ferita, nelle prime ore del mattino.

Da quel momento Doralice non è più la stessa, si chiude in un silenzio talmente profondo da far paura a chiunque.

Forse anche Amanda è rimasta scottata più di quanto Lucia pensasse. Qualche mese prima sua figlia l’aveva chiamata nella notte, dopo aver subito un’aggressione per strada, a Milano, e lei non aveva saputo come consolarla. Non pensava che sua figlia necessitasse di sostegno e Amanda aveva sempre minimizzato.

Ma è da quel giorno che qualcosa si è rotto, Amanda ha smesso di frequentare l’università, di uscire e di credere in una sua possibile esistenza in quella città. Se all’inizio Lucia aveva pensato che quel ritorno a casa fosse momentaneo, con i mesi si rende conto che la figlia non sarebbe più tornata a Milano.

Forse Lucia aveva sbagliato, non si era comportata da madre, sarebbe dovuta salire sul primo treno per Milano e avrebbe dovuto colmare con il suo amore sconfinato quel vuoto sordo e solo che riempiva il cuore di sua figlia. Così come avrebbe dovuto comportarsi d’amica con Doralice, avrebbe dovuto andare a trovarla in ospedale, parlarle, starle vicina dopo tutto quello che le era successo. Invece non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi a lei se non dietro una distanza di sicurezza. Sugli spalti, insieme a tutti gli altri, Lucia aveva assistito ai processi in cui Doralice incriminava Vasile, ragazzo conosciuto da tutti in paese perché aiutante e protetto del pastore Ciarango, di stupro e assassinio.

L’abominio spesso si nasconde dietro casa e spesso si manifesta senza alcuna ragione apparente. Se solo Lucia avesse invitato anche Doralice al mare quel giorno, se solo Doralice non avesse deciso di andare con Tania e Virginia al Dente del Lupo, se solo Ciarango non avesse accolto Vasile nella sua vita. Ripercorrendo il passato a Lucia, sembra che ogni cosa si sarebbe potuta evitare, se solo si fossero invertiti i piani, le intenzioni. Ma la verità è che è tutto una casualità e non esistono ragioni dietro una cattiveria così efferata come quella di Vasile, ancora un ragazzo eppure capace di una crudeltà senza scrupoli.

Lucia non avrebbe potuto proteggere sua figlia dal dolore, e nemmeno Doralice. Ma avrebbe potuto scegliere di essere presente, di prendersi cura di loro e delle loro sofferenze, in nome dell’amore che la lega ad entrambe. Invece aveva fatto quello che le riesce meglio, stare a guardare senza fare nulla.

Arriva però un momento in cui la vita ti mette di fronte alla possibilità di poter rattoppare i buchi causati dai tuoi errori, e questo momento arriva per Lucia quando un ricco imprenditore le fa un’offerta per comprarle il terreno sotto al Dente del Lupo.

E sarà la decisione che prenderà Lucia a riscattare quelle morti innocenti, la vita distrutta di Doralice e a restituire al paese un terreno che per lungo tempo era stato volutamente dimenticato da tutti. Ma il suo gesto sarà anche il modo attraverso il quale riconquisterà il rispetto di sua figlia Amanda, che durante la sua permanenza in Abruzzo avrà modo di curarsi le ferite subite e di capire quello che davvero desidera dalla vita.

Nonostante Lucia si additi la colpa di non essere stata abbastanza madre per sua figlia nel momento del bisogno, durante l’arco del libro farà quello che solo una madre può fare: starle accanto in quell’età fragile della vita in cui, a causa dell’inesperienza, tutto rischia di distruggerci irrimediabilmente.

Amanda lontano da casa ha avuto un assaggio di quello che può essere il mondo là fuori, violento e individualista, e tornare in quella casa dove un tempo era stata bambina, ingenua e protetta dalle spalle forti dei genitori, era quello che le serviva, un modo per tornare a sentirsi figlia per un po’ prima di ritrovare la forza di affrontare quello che la vita ha in serbo per lei.

Donatella di Pietrantonio incanta con il suo linguaggio aspro ed essenziale, e con una storia dai confini labili, dove passato e presente si intersecano costantemente, sullo sfondo di un Abruzzo rurale, magnifico e spaventoso allo stesso tempo.

Il ritratto di un’umanità fragile e complessa, ricca di contraddizioni e silenzi a volte incolmabili, dove i traumi ne fanno da padrona e come cicatrici solcano le anime dei protagonisti. Un racconto vero e senza filtri di un mondo, il nostro, dove non c’è riparo dal male e dalla sofferenza, ma dove, nonostante tutto, rimane la speranza, perché è attraverso le nostre azioni che possiamo riscattare tutto quel male e quel dolore.

Ricordare è la nostra unica arma contro l’oblio, l’unico modo che abbiamo per mantenere in vita chi ci ha lasciati per sempre, o per tornare indietro a quando il male non ci aveva ancora raggiunti, ed eravamo felici e spensierati come non lo saremo mai più nella vita.

L’età fragile è un libro che ti spiazza, inizia come un romanzo che ha come tematica principale il rapporto madre-figlia, per poi catapultarci in un giallo, carico di tensione e di suspense. D’altronde è proprio così che avviene nella vita, le tragedie colpiscono quando meno te lo aspetti ed hanno il potere di cambiare e mettere in discussione tutto, per sempre.

Federica Tudisco

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