‘Geopolitica umana’. Capire il mondo dalle civiltà antiche alle potenze odiernedi Dario Fabbri

«Ogni era è segnata dalle vesti che indossano le collettività, dalle forme che queste assumono per esprimere sé stesse. Distinguere le costruzioni decisive da quelle accessorie è attività indispensabile. La vulgata occidentale canta di organizzazioni multilaterali, grandi industrie, città-Stato. Eppure la nostra epoca è dominata da nazioni e imperi. Nient’altro.

Al netto di improbabili sogni giuridici, gli organismi multilaterali sono semplici strumenti di cui si avvalgono le potenze. Per amministrare specifici quadranti del pianeta, oppure come forum in cui scontrarsi in dimensione negoziale – l’Unione Europea si colloca in entrambe le categorie. Sedi che brillano di vita altrui, non della propria. Condannate a cambiare con l’evolvere dei rapporti di forza tra gli Stati, quando questi avranno bisogno di assemblee diverse per composizione o luogo. […]

Nel corso dei secoli è stata l’ampiezza della popolazione regionale o mondiale a determinare il destino delle specie statuali, cagionando l’affermazione di soggetti più o meno vasti. Profili funzionali nell’antichità, le città-Stato sono regredite a feudo durante il Medioevo, quando gli abitanti della Terra calarono nettamente, per scomparire in età moderna, con l’aumentare fino a mezzo miliardo della popolazione globale (1550-1600).

Da allora proliferano gli Stati nazionali (o multinazionali). Al loro fianco Stati che erano province di imperi altrui e altri post-coloniali tracciati arbitrariamente da potenze aliene. Sopra di essi gli imperi, strutture sopravvissute a ogni epoca, le uniche in grado di centrare l’egemonia.

I (presunti) Stati-nazione sono i soggetti più diffusi del nostro tempo, condizione a cui teoricamente corrisponde la contemporanea accezione di popolo. Da decenni se ne intona il de profundis. Eppure dal 1985 al 2022 quelli ufficialmente riconosciuti sono passati da 171 a 206. Tanto successo è diretta conseguenza della loro cifra antropologica, misto inaggirabile di ferocia e identità: i più umani dei sentimenti.

In formula: la nazione è una collettività che si ritiene compiuta, composta da esseri umani sicuri di possedere un destino comune, consapevole della propria diversità rispetto alle altre, intenta ad affermarsi nei confronti di queste. […]

Tutte le nazioni possiedono un gruppo o un modello culturale dominante, conseguenza della propria realizzazione. Impossibile il contrario.

L’Italia contemporanea nacque con l’affermazione della fazione sabaudo-sarda sul resto della penisola. Sforzo che a metà dell’Ottocento incontrò notevole resistenza nel Mezzogiorno, espressa attraverso il brigantaggio, rivolta popolare rubricata nella nostra pedagogia a semplice criminalità. Erano per due terzi italiani i soldati pontifici che nel 1867 difesero il Lazio dai piemontesi, addirittura erano tutti italiani i seimila incaricati di proteggere Roma, comandati dal generale Giovanni Battista Zappi. […]

La stirpe parigina-d’oil, da tempo semplicemente detta francese, prevalse nel Medioevo su occitani e bretoni. Nel corso dei secoli altri conflitti hanno attraversato l’Esagono. Nel Seicento la popolazione si scontrò nelle guerre di religione per stabilire se la tradizione confessionale dovesse essere cattolica o protestante, provocando la morte di almeno tre milioni di francesi. Alla fine del Settecento deflagrò la rivoluzione per decretare il regime da attuare, monarchico o repubblicano.

Negli Stati Uniti fu necessaria una guerra civile (1861-1865) per selezionare il canone nazionale, con la vittoria dell’approccio nordista (yankee), puritano, calvinista, sull’alternativa sudista (dixie), episcopaliana, catto-anglicana. In termini numerici, la guerra con più morti statunitensi tra quelle combattute dalla attuale superpotenza. Successivamente il gruppo anglosassone fu scalzato da milioni di tedeschi che emigrarono nel Nuovo Mondo.»

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