Rai, tempo di nuova riformabilità

Con Schlein c’è  l’ultima e più clamorosa conferma della irriformabilità della Rai. Cacciato Carlo Fuortes  con un decreto per la conquista di Saxa Rubra da parte della destra è questione di giorni.

Adesso siamo oltre la famigerata spartizione tra i partiti, famigerata sotto tanti aspetti ma teoricamente giustificabile in quanto il servizio pubblico in ultima analisi non può non rispondere al potere politico, al Parlamento, al Governo: e dunque ci si divideva la torta – spesso e volentieri anche con un occhio alla qualità.

 La Rai è come un collegio uninominale: chi vince prende tutto e a chi perde al massimo va qualche briciola. La seconda differenza è che in questo modo si va instaurando un dominio totale della destra su tutta la televisione nazionale: la Rai a Fratelli d’Italia e un discreto pezzo alla Lega.  Questa non è una sintesi ideologica della situazione, è un dato di fatto. 

La questione ancora più seria è che la prossima conquista editoriale da parte della destra (Tg1, Tg2, Rai News24, Tgr, Rai Parlamento, Gr) si andrà a saldare con il completo controllo del cuore aziendale, cioè della corporate, già da tempo in mano a dirigenti di destra (dal Marketing al Personale al Coordinamento dei palinsesti), il tutto senza un’idea della mission del servizio pubblico in una fase storica di gigantesche trasformazioni.

Ora, è mai possibile che il Pd, primo partito di opposizione, non si occupi dell’unica azienda culturale e informativa pubblica? Il Movimento 5 stelle che sulla Rai ha l’unico problema di salvare quella decina di giornalisti più o meno amici di Rocco Casalino, e non sapremmo cosa dire di Italia viva e Azione che dopo il fallimento di una politica peraltro non chiarissima nell’éra Renzi (ricorderete la coppia Maggioni-Campo Dall’Orto che era partita con grandi propositi presto annichiliti) ha riposto questo dossier nel cassetto.

Il Pd, semplicemente, non c’è: e dunque non può sfidare il governo, alla vigilia del rinnovo del contratto di servizio, a dire se ha uno straccio di idea. Intanto la qualità soprattutto dell’informazione Rai scade e inquina il dibattito pubblico, massimo esempio il talk di Bianca Berlinguer che continua a imperversare con i vari Baby Orsini e Mauro Corona che probabilmente, per motivi imperscrutabili, resterà anche nella prossima  stagione mentre verrà falcidiato uno come Fabio Fazio che fa ascolti e porta soldi ma dà fastidio.

Nel 2001 Berlusconi tornò a Palazzo Chigi e  alle Comunicazioni mise Gasparri che riformò il sistema Radiotelevisivo, la più ad personam delle leggi, rimandata alle Camere dal presidente Ciampi perché ritenuta in contrasto con la Costituzione sul pluralismo dell’informazione. Gasparri, durante la campagna elettorale, in compagnia di altri bontemponi di destra, a Telelombardia stilò quella che la stampa definì “lista di proscrizione”: Bigi, Santoro, Luttazzi, Marrazzo, Fazio, il Tg3 per intero. Il futuro ministro aveva solo anticipato i tempi, i primi tre della lista, esattamente un anno dopo,  accusati dal premier Berlusconi di aver fatto “un uso criminoso della tv”, furono allontanati dalla Rai e i loro programmi chiusi.

Il governo Meloni sta preparando per la Rai è una occupazione totale, salvo qualche sedia da picnic all’opposizione, chiusura dei programmi di approfondimento non allineati, sbarco di giornalisti di regime. La Rai non è in grado di porre resistenza a difesa del bene comune, quando il ministro Salvini chiuderà i cordoni del canone per la Rai sarà la fine, a vantaggio delle tv commerciali. Vespa è il più coerente, non ha mai nascosto di avere l’editore di riferimento, prima Forlani, poi Berlusconi, oggi la Meloni, sempre pronto a confezionare vestitini su misura.

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