Vladimir Luxuria, la frase choc su Ratzinger: “Al limite dell’ossessione”

Ai limiti del lecito e al massimo dell’insussistenza la penosa dichiarazione di Vladimir Luxuria su Papa Benedetto XVI:

“Scompare un uomo importante, un punto di riferimento per il mondo cattolico, mi dispiace per la perdita della persona e per la sua sofferenza, però non posso essere ipocrita da tacere i grandi contrasti che ha avuto con la comunità Lgbtq+, contrasti che si sono affievoliti con Papa Francesco”. L’ex parlamentare e attivista Lgbtq+ Vladimir Luxuria interviene così sulla scomparsa di Papa Benedetto XVI.

Poi l’attacco al Papa Emerito si fa più pesante: “Ricordo le sue prese di posizioni molto frequenti, al limite dell’ossessione, su tutti i temi e le leggi che potessero favorire le nostre vite, i nostri affetti. Sicuramente mi dispiace per la perdita dell’uomo, ma non posso essere ipocrita e dimenticare le ingerenze e le dichiarazioni molto forti contro di noi. Quella che mi ferì in modo più forte fu il definire l’omosessualità ‘socialmente pericolosa’, quella frase ha eretto il muro più grande tra noi e il Vaticano. Ha etichettato le nozze gay come ‘il potere antispirituale dell’Anticristo o come ‘autodistruzione della società'” sottolinea.

“Ora mi auguro che questo dialogo dell’abbattimento dei muri e di costruire dei ponti, usando i mattoni di questi muri demoliti, possa continuare nel futuro e che non ci sia più questa lotta così aspra, pur nel rispetto delle diverse posizioni, tra la nostra comunità, il Vaticano e tutte le religioni”.

Benedetto XVI è stato il primo Papa ad avviare una campagna di “tolleranza zero” per sradicare il fenomeno della pedofilia nel clero e per punire i colpevoli, compresi i vescovi ‘omertosi’.

Fu lui – a cui, all’epoca ancora cardinale, si deve la clamorosa denuncia della “sporcizia nella Chiesa” nella Via Crucis del 2005 – a portare a sentenza l’annoso processo sul ‘caso Maciel’, il fondatore dei Legionari di Cristo.

E fu lui a volere massima trasparenza su ogni caso, contro la prassi degli insabbiamenti delle denunce di abusi e dei semplici spostamenti dei pedofili da una diocesi all’altra.

L’emergere di sempre nuove vicende risalenti ai decenni passati (una lambì la stessa figura del Pontefice, per il cambio d’incarico a un prete pedofilo quand’era arcivescovo a Monaco) fece però divampare ancora di più lo scandalo a livello globale.

Il Papa indirizzò anche una lettera “ai cattolici d’Irlanda”, Paese tra i più colpiti. Ma nell’estate del 2011 l’uscita delle relazioni governative sugli abusi nelle diocesi d’Irlanda innescò perfino una crisi diplomatica con Dublino.

La forte spinta anti-pedofili da parte di Benedetto XVI, insomma, sembrò diventare un’arma a doppio taglio, che s’infiammò ancora di più negli anni successivi con le uscite delle varie indagini indipendenti o governative in diversi Paesi europei, in singole diocesi, come pure negli Stati Uniti.

Lo scandalo, all’inizio del 2010, investì anche la Chiesa tedesca e in marzo arrivò a sfiorare lo stesso Benedetto XVI, già arcivescovo di Monaco di Baviera dal 1977 al 1982: proprio in quel ruolo, l’allora cardinale Joseph Ratzinger accettò nel 1980 di accogliere nella sua diocesi, da quella di Essen, al solo scopo di farlo curare, un sacerdote sospettato di molestie sessuali su minori. Secondo la ricostruzione fatta dalla diocesi di Monaco, l’allora vicario generale della capitale bavarese, mons. Gerhard Gruber, decise però di affidare al religioso, definito retrospettivamente come “padre H.”, un ruolo pastorale in una parrocchia. Ciò senza avvertire il suo superiore, ovvero lo stesso Ratzinger. Il sacerdote si rese poi responsabile di nuovi crimini di pedofilia tanto che nel 1986 il tribunale dell’Alta Baviera lo condannò a 18 mesi di carcere e a una multa di 4 mila marchi tedeschi.

Immediatamente, sia il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sia l’arcivescovado di Monaco sostennero l’assoluta estraneità di Benedetto XVI a quanto accaduto. Lo stesso ex vicario generale, mons. Gruber, si assunse ogni colpa, con una dichiarazione pubblicata sul sito diocesano.

Ma il caso tornò a galla nel gennaio 2022, quasi nove anni le dimissioni di Benedetto XVI – intanto nel 2019 suscitò non poche polemiche un suo testo sulla pedofilia nella Chiesa, da lui collegata al “collasso morale” della rivoluzione sessuale del ’68 – con l’uscita del rapporto indipendente sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese, che ha accusato Ratzinger di “comportamenti erronei” nella gestione di singoli casi.

Quello che sfugge a Luxuria è la linea di condotta che dovevano avere per essere in pace con la Chiesa e altro: parliamo di assoluta estraneità agli atti sessuali, che abitualmente sono atti sodomitici.

Passiamo ora a Dante e Brunetto Latini che  è stato un letterato e uomo politico fiorentino realmente esistito tra il 1220 e il 1294 circa, un centinaio d’anni prima di Dante Alighieri, il quale lo collocherà nel terzo girone del VII Cerchio dell’Inferno (Canto XV) nonostante l’affetto che per quello che reputava un suo ‘antico maestro’.

Dante Alighieri si basò sulla reputazione non buona che Brunetto Latini aveva presso i contemporanei nel collocarlo tra i sodomiti, dove doveva restare per più di cento anni tra una pioggia di fuoco.

Brunetto fa parte di una particolare schiera di sodomiti che include letterati e anche illustri chierici.

La gravissima colpa che dovranno subire è dovuta alla terribile realtà di utilizzare in un luogo cavo l’origine della vita. Luxuria scoprirà a fine vita che era in errore lui e non Papa Benedetto XVI.

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