Vitamina D e conseguenze relative alla sua carenza

La storia della scoperta della vitamina D parte nel 1919 quando venne evidenziato, da Huldschinsky, che bambini affetti da rachitismo guarivano se esposti alla luce ultravioletta. Un risultato simile lo si ottenne nel 1922 da A.F. Hess e H.B. Gutman usando, però, la luce solare e nello stesso periodo venne ipotizzata da Mc Collum l’esistenza di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa, studiando l’azione antirachitica dell’olio di fegato di pesce dal quale riuscì ad identificare una componente attiva. Già nel 1919-1920 Sir Edward Mellanby era pervenuto ad un’ipotesi simile studiando cani cresciuti sempre al chiuso. Nel 1923 Goldblatt e Soames riuscirono a dimostrare che quando il 7-deidrocolesterolo, presente nella pelle, viene colpito dai raggi ultravioletti esso dà origine ad un composto avente la stessa attività biologica del composto lipofilo di Mc Collum. La struttura della vitamina D venne identificata nel 1930 da A. Windaus. La vitamina D riduce il rischio di ogni cancro dal 30 al 50%, previene disturbi cardiocircolatori, rafforza il sistema immunitario, mantiene sani e forti ossa, cartilagini e denti, tiene alto l’ umore, previene infezioni ed influenza, ripara il Dna ed assiste i processi metabolici. La carenza di vitamina D è diffusissima per il fatto che non passiamo abbastanza tempo all’aria aperta come succedeva una volta. I ricercatori stimano che il 50 per cento della popolazione è a rischio di carenza di vitamina D, con effetti pesanti sulla salute sia fisica che emotiva. Si è più a rischio di carenza di vitamina D se si usa la crema solare, se  si hanno  più di 50 anni, si ha la pelle scura, si passa poco tempo all’aria aperta e si ha una patologia tumorale. Il modo più sicuro per valutare se si ha poca vitamina D è tramite una semplice analisi del sangue: il range ottimale per la salute è tra 50 e 80 ng/ml. Una quantità di vitamina D tra 80 e 100 ng/ml è importante per guarire il cancro a patologie cardiache. Uno studio pubblicato su FASEB Journal ha dimostrato che la vitamina D agisce sul gene TPH2 e trasforma il triptofano in serotonina.  La serotonina è il cosiddetto ormone del benessere perché regola il transito intestinale, il sonno, l’appetito, l’umore e il peso corporeo. Bassi livelli di serotonina sono associati con tendenze suicide, disordine ossessivo-compulsivo, alcolismo, depressione e ansia. La serotonina, l’ormone associato con l’umore positivo aumenta con l’esposizione alla luce e regredisce quando l’esposizione al sole diminuisce. Nel 2006, gli scienziati hanno valutato gli effetti della vitamina D sulla salute mentale di 80 pazienti anziani e dallo studio è emerso quelli che avevano bassi livelli di vitamina D erano 11 volte più inclini a essere depressi rispetto a quelli che prendevano integratori di vitamina D. Si stima che oltre il 95% degli anziani può essere carente di vitamina D, non solo perché tendono a passare un sacco di tempo in ambienti chiusi, ma anche perché ne producono meno quando si espongono al sole (una persona di età superiore ai 70 produce circa il 30% in meno di vitamina D di una persona più giovane con la stessa esposizione al sole). La vitamina D è una vitamina liposolubile simile ad un ormone, per cui il grasso corporeo agisce come un ‘pozzo’ che attira tutta la vitamina D in circolo. Se si è in sovrappeso o obeso, è molto probabile che si avrà bisogno di più vitamina D rispetto a una persona magra. La fibromialgia, o la sindrome da stanchezza cronica,  è un classico segno di deficit di vitamina D.   La carenza di vitamina D provoca, infatti, un difetto nel mettere il calcio nella matrice di collagene nello scheletro e,  di conseguenza,  si hanno i dolori alle ossa.  La vitamina D è una vitamina liposolubile, il che significa che se si ha una disfunzione gastrointestinale probabilmente non si è in grado di assorbire bene i grassi, con un conseguente minore assorbimento di vitamine liposolubili come la vitamina D. I disturbi gastrointestinali che danneggiano l’assorbimento dei grassi in particolare sono il morbo di Crohn, celiachia, chi è sensibile al glutine e chi ha l’intestino infiammato. Questi sono alcuni esempi che possono denotare una carenza di vitamina D nell’organismo. In caso di carenza di vitamina D il medico potrebbe prescrivere un cambiamento dello stile di vita o dell’alimentazione, oppure l’assunzione di un integratore specifico. Le donne in gravidanza e in allattamento, gli anziani e i bambini dovrebbero tenere sotto controllo i propri livelli di vitamina D per evitare carenze. Per quanto riguarda l’alimentazione, le fonti di vitamina D possono essere sia di origine animale, come uova, latte e derivati, sia cibi di origine vegetale, con particolare riferimento ai funghi. Dieta equilibrata ed esposizione al sole dovrebbero garantire livelli adeguati di vitamina D.

Moreno Manzi

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