Virginedda Addurata, una pièce maiuscola

Messina – Raramente si riesce a pensarlo. Figurarsi a dirlo o a scriverlo. Ma questa volta si può. In Virginedda Addurata si sfiora la perfezione.

Andata in scena per la stagione del Clan Off Teatro, che si merita un applauso a parte per averne colto il valore e averla proposta a Messina, la pièce è un gioiello. Non un gioiellino, chè non c’è niente di minuscolo nello spettacolo.

In Virginedda Addurata il testo straordinario di Giuseppina Torregrossa, che assieme alla ricchezza delle sfumature della lingua siciliana mette assieme la capacità di condurre lo spettatore in una vera e propria altalena emotiva, dal comico al tragico, com’è proprio della vita, si coniuga alla regia di Nicola Alberto Orofino che è un manifesto di essenzialità. Ed essenziale non vuol dire povero, vuol dire necessario, vuol dire un sistema nel quale ogni luce, ogni base musicale, ogni oggetto e costume, ogni posizione e ogni movimento sono indispensabili, ogni sfumatura e ogni dettaglio risultano irrinunciabili, e, per questo, potenti. E tutto ciò trova in Egle Doria e Francesca Vitale l’interpretazione definitiva, l’interpretazione che è esattamente ciò che deve essere.

La storia ha un’intuizione di fondo, che fa pencolare la parola nel territorio della morale: cosa direbbero i Santi se potessero rispondere alle preghiere? E ha un ‘appiglio di cronaca’, un caso di femminicidio registrato in quel di Trapani, una moglie incinta arsa viva dal marito e dall’amante di lui. Ma detto questo, non si è detto niente. In sala si ride, tantissimo, ci si commuove, oltremodo, ci si incupisce, ci si interroga, e, appunto com’è delle cose della vita, si viene toccati. E un’ora di spettacolo si prolunga nelle ore a seguire, quando tornano in mente battute ed espressioni – ed emozioni, riflessioni, memorie.

Francesca Vitale è una Santa Rosalia letteralmente adorabile. Egle Doria è tutti gli altri personaggi del dramma, la donna che sarà uccisa, sua figlia, sua madre, la complice dell’uccisore, ogni volta diversa, ogni volta vera. E una voce fuoricampo (di Fiorenzo Fiorito) in duetto con Vitale fa parlare l’assassino.

Due fatti succedono, in questa storia. Uno è il perdono. L’altro è l’appello al buon senso. Ma quant’è ripida la strada per congiungerli, quant’è intimo l’impegno che vi presiede.

L’applauso dura così tanto, al Clan Off Teatro, che persino le due attrici restano interdette, sulla soglia delle lacrime pure loro, consapevoli come diventano, via via che il battimani prosegue inesorabile, di essere state non solo apprezzate, non solo comprese, ma anche amate, loro e i loro personaggi. Com’è proprio della vita. Appunto.

Blackcap

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