“Vini, spezie, pastelli volativi e confetti di zucchero. Breve storia della cucina e dell’alimentazione nel Medioevo” di Davide Chiolero

Dott. Davide Chiolero, Lei è autore del libro Vini, spezie, pastelli volativi e confetti di zucchero. Breve storia della cucina e dell’alimentazione nel Medioevo, edito da Graphe.it: innanzitutto, in che modo lo studio delle pratiche alimentari nel tempo può aiutare a ricostruire la storia culturale, sociale, religiosa ed economica della società?

Vini, spezie, pastelli volativi e confetti di zucchero. Breve storia della cucina e dell’alimentazione nel Medioevo, Davide ChioleroLa storia della cucina e dell’alimentazione è storia culturale, storia di come l’uomo abbia definito sé stesso e il mondo che lo circonda in base al cibo, alla sua preparazione, ai complessi rituali con forte valenza socio-culturale e religiosa che definiscono il sistema alimentare; rituali che sono il prodotto di una società che li ha costruiti ed elaborati, anche nell’arco di secoli. L’atto estremamente naturale del nutrirsi si lega a una serie di istanze culturali e sociali molto forti che portano alla definizione di alimentazione e, in particolare, di cucina, in un complesso sistema nel quale i ritmi naturali sono adottati e rielaborati dall’uomo che, attraverso una serie di saperi, trasforma le materie prime in cibo. Per questo motivo lo studio dell’alimentazione, della cucina e del valore socio-culturale che si nasconde dietro al cibo è interessante e utile, poiché permette di approfondire la conoscenza di un dato popolo, la sua cultura e i suoi valori e di come questi fattori possano essere mutati nel corso del tempo. Alla stessa maniera, lo studio di una data caratteristica, come l’abbondante uso delle spezie nella cucina medievale, può essere analizzato sotto numerosi aspetti, da quello culturale a quello sociale, fino ad arrivare a quello economico. Un’analisi delle pratiche alimentari nel medioevo rivelerà come, in ambito elitario, l’organizzazione di sontuosi banchetti e l’accurata scelta delle pietanze da servire, degli ingredienti, dei vini di accompagnamento fossero latrici di messaggi sociali molto importanti. In un simposio la durata e la sontuosità del servizio (alcuni potevano svolgersi per più giorni, una settimana, a volte anche di più), la ricercatezza delle vivande e la quantità delle portate servite erano strumenti per ottenere, attrarre o confermare uno status sociale elevato. Il consumo di alcuni alimenti, come le spezie, era ostentato pubblicamente proprio a questo scopo, veicolando messaggi sociali molto forti.

Quali falsi miti aleggiano sulla cucina medievale?
Fino a pochi anni fa era comune trovare nei libri di scuola falsi miti relativamente alla cucina medievale che avevano subito l’influsso negativo di una storiografia otto e novecentesca, caratterizzata da un’interpretazione che vedeva nel medioevo un’epoca buia, barbarica, in netta opposizione alle precedenti civiltà classiche e alla successiva epoca rinascimentale. Il falso mito più comune e radicato è quello delle spezie utilizzate per coprire il gusto di marcio delle carni. Sappiamo, grazie agli statuti di diversi comuni, che l’allevamento degli animali e la vendita dei prodotti carnei e ittici erano strettamente sorvegliati e regolamentati e i commercianti che non vendevano prodotti freschi – o più propriamente, truffavano i loro clienti vendendo carne o pesce di qualche giorno spacciandoli per freschi – erano puniti severamente ed erano costretti a pagare multe salate. Sono numerose le testimonianze che riportano del consumo di carne freschissima nelle mense nobiliari e l’uso abbondante di spezie in epoca medievale non deve assolutamente essere giustificato per via del gusto avariato, bensì come ostentazione del lusso e del potere. Altro falso mito è quello di immaginare la cucina medievale come qualcosa di semplice, poco elaborato, che si riduce a un grosso pentolone nel quale sobbollono zuppe e minestre o a un animale intero abbrustolito su uno spiedo a fiamma viva. Se questo può essere vero in alcuni contesti, la cucina elitaria medievale dimostra un’attenzione ai colori, alla sorpresa e al gusto che lascia stupefatti. Si pensi ai pastelli volativi, torte realizzate al solo scopo di sorprendere i commensali, cave al loro interno poiché dovevano contenere uccelli vivi che, al taglio della torta sarebbero usciti meravigliando tutti. Sarebbe poi stata portata in tavola la vera torta per essere consumata.

Da dove viene la nostra conoscenza della cucina medievale?
Esistono diverse fonti sulla cucina elitaria medievale, e ci tengo a precisare elitaria poiché la cucina povera è meno documentata e, di conseguenza, meno rappresentata negli studi. Importanti sono sicuramente i ricettari che vengono scritti a partire dal XIII secolo e che, in alcuni casi, sono testi autografi di importanti cuochi di re, papi o imperatori. I più importanti e conosciuti sono il Liber de coquina, manoscritto latino di produzione siciliana composto tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, l’Anonimo Toscano, il Viandier di Guillaume Tirel detto Taillevent, cuoco dei re di Francia nel XIV secolo, il trattato di Maestro Chiquart degli inizi del ‘400, il Liber de arte coquinaria di Maestro Martino de Rossi, realizzato verso la metà del XV secolo. Tuttavia, le fonti possono essere le più svariate, come fonti letterarie, resoconti e cronache, registri delle spese delle dispense monastiche o signorili. Oltre a queste, possono venire in nostro aiuto anche miniature e fonti iconografiche (che insieme alle fonti scritte ci forniscono numerose informazioni su come dovesse apparire una tavola imbandita, oltreché sui gesti e la ritualità dei commensali e dei servitori), ma anche fonti archeologiche e materiali. Numerosi studi, per esempio, sono stati condotti sulle discariche di comunità di villaggio e hanno permesso di ricostruirne la dieta grazie ai ritrovamenti di resti di diversi animali ma anche scarti vegetali che si sono conservati, come semi. L’analisi dei segni lasciati da coltelli o altri oggetti taglienti sulle ossa, inoltre, ha permesso di ipotizzare alcune tecniche di macellazione che potevano essere utilizzate.

In che modo la cucina medievale si differenzia dalla nostra?
La grande differenza è da ricercare, anzitutto, nel gusto. Se nella cucina odierna vi è la ricerca del gusto naturale delle cose, in quella medievale si tenta di trovare un equilibrio, un punto zero, tra sapori e caratteristiche organolettiche molto forti. I gusti più ricercati erano quelli agrodolci o agropiccanti, con una forte predilezione per l’abbondante uso di spezie quali il pepe (nero, lungo, di cubeba), lo zenzero o la galanga, la cannella, la noce moscata e molte altre ormai poco conosciute e utilizzate. Un’altra grande differenza che si può notare nella cucina medievale è un’importante attenzione al cibo. Infatti, nella regola di alcune comunità monastiche vi è un particolare impegno nel ridurre gli sprechi ed era comune raccogliere ogni briciola di pane dopo i pasti per ricomporle, a fine settimana, in forma di torta. Questo ci porta a pensare all’enorme e sostanziale differenza che ha la società occidentale odierna nei confronti del cibo rispetto al passato, una società che ha accesso a una quantità spropositata di calorie e che, se non in casi marginali, difficilmente si trova in situazioni di denutrizione. Eppure per centinaia di migliaia di anni l’umanità ha fatto la fame o rischiato di farla in caso di carestie che, come si evince dalle cronache, erano piuttosto ricorrenti. Sappiamo che anche le classi sociali elitarie, sebbene maggiormente protette dalle loro possibilità economiche, correvano ai ripari in situazioni simili. Nella seconda metà del Novecento si è passati, quindi, dall’avere una costante paura della fame all’accesso a quantità di cibo incredibile, con frutta non di stagione in qualsiasi periodo dell’anno e alimenti esotici a basso prezzo. Questo ha portato anche a uno spreco alimentare e a un rispetto minore verso il cibo e le fonti alimentari. Sono enormi le quantità di cibo che vengono buttate giornalmente e settimanalmente dai supermercati e il sistema di vendita prevede ben poche possibilità di rielaborazione e riutilizzo per evitare lo spreco.

Quali erano gli alimenti più comuni nella cucina medievale?
In assoluto l’alimento più comune era il pane. Consumato da tutte le classi sociali – bianco dai più abbienti e pane nero, realizzato con cereali minori, dalle classi più umili – il pane ha un valore religioso e identitario molto importante. Quello lievitato era, infatti, una caratteristica del mondo occidentale, in contrapposizione ai pani non lievitati consumati in Medioriente e Nord Africa. La lavorazione della farina e il complesso processo di panificazione rendevano il pane anche simbolo di civiltà. Durante i periodi di carestia si hanno testimonianze di come i meno fortunati realizzassero “pagnotte” con gli ingredienti più disparati e che riuscivano a trovare come erbe, cenere, terra. Il pane, in alcuni casi, può anche diventare simbolo di rinuncia o pentimento. Numerose testimonianze ci rivelano di diete a pane e acqua come penitenza. È, per esempio, il caso di Jean de Joinville, nobile della corte di Luigi IX il Santo, che dopo aver mangiato carne di venerdì mentre era prigioniero, giorno di magro durante il quale non si potevano mangiare prodotti di origine animale ad eccezione del pesce, non mancò di digiunare a pane e acqua tutti i venerdì seguenti della sua vita. Altro elemento identitario e di estrema importanza per la cultura medievale è la carne, l’alimento considerato in assoluto più nutriente e il favorito di tutte le classi sociali, tanto da poter affermare che la cultura alimentare medievale sia, essenzialmente, carnivora. Tutto il calendario alimentare e liturgico medievale ruota intorno a questo prodotto, il cui consumo era vietato per circa 140/160 giorni all’anno. I religiosi e gli ecclesiastici rinunciavano volontariamente alla carne (sebbene sembri che quella di pollame e volatili fosse comunque consumata). Il grande consumo che se ne faceva nel medioevo è un retaggio del regime alimentare barbarico che, nel tardo antico, si fonde con quello romano. La quantità consumata era veramente alta e alcuni casi di studio fatti su comunità basso medievali propongono che si aggirasse intorno ai 500 gr al giorno, a volte anche di più. Durante i grandi banchetti e sulle tavole signorili, inoltre, non potevano mancare salse speziate, intingoli e spezie. Tra queste, una delle più comuni era sicuramente lo zucchero che non era relegato all’ambito della pasticceria ma veniva utilizzato in diverse preparazioni, accompagnando carne, pollo e pesce.

Davide Chiolero (1991) ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Torino con valutazione 110 e lode. Dal 2017 è docente di lettere e storia. È autore dell’articolo Elmi con le corna e asce bipenni: l’equipaggiamento del vero guerriero vichingo (Arma Virumque, Rivista universitaria torinese di Storia Militare, 2021) e dei saggi I vichinghi e la morte. La ritualità funebre scandinava fra migrazione e stanzialità (sec. VIII-XI) e Il bestiario del Trésor di Brunetto Latini, editi con Il Cerchio.

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