Vicenda Cofferati e Quirinale

Il caso Cofferati irrompe nella partita per il Quirinale e la scossa derivante dal suo addio scuote notevolmente il Pd ligure arrivando fino al largo del Nazareno. La minoranza dem coglie al volo questa occasione e minaccia ritorsioni nel voto per il Quirinale, con uno scontro fratricida tra democratici e civatiani. A scatenare la rissa ci pensa Stefano Fassina: “Il caso Cofferati e quello del decreto fiscale non aiutano a costruire un clima positivo per il voto sul colle ed il modo sbrigativo ed offensivo per la dignità di Cofferati con cui la sua scelta è stata trattata pesa notevolmente sul Quirinale”. Pippo Civati, dal canto suo, fa intravedere un vero strappo: “Cosa deve succedere ancora per aprire nel Pd una riflessione? Se è diventato un partito di centrodestra sarebbe importante che Renzi lo dicesse per primo”. In realtà Civati sta valutando con Sel la possibilità di una lista alternativa capeggiata da Cofferati e che possa raccogliere la galassia che si muove alla sinistra di Renzi. I renziani definiscono il tutto puramente strumentale, fatto da parte di chi agita continuamente il tema della fedeltà alla “ditta” e non mostra “nessuna responsabilità” in un momento cruciale per il Pd. In settimana la delegazione dem che Renzi si è affiancato nella ricerca di un’ampia convergenza sul Colle, dovrebbe iniziare gli incontri con gli altri partiti. Ma prima di sedersi al tavolo, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi si vedranno per provare a riannodare, all’ombra del voto del prossimo capo dello Stato, i fili di un’unità del centrodestra che favorisca l’investitura di una personalità appartenente non alla sinistra di stampo comunista ma al campo dei moderati. Tutte pretese che, affermano da sinistra, non possono essere accolte. “Per me al Quirinale deve andare una personalità di livello internazionale e di sinistra”, scandisce Cesare Damiano. E Nichi Vendola avverte: “Sosterremo il candidato del Pd solo se non sarà espressione del Patto del Nazareno”. Il presidente deve essere garante di tutti e non solo di qualcuno, sottolinea Alfredo D’Attorre. E Stefano Fassina spiega che “autorevolezza, autonomia dall’esecutivo e capacità di unire” sono i tre requisiti indispensabili per la minoranza Pd. Spero che non ci sia bisogno dell’elmetto, ma siamo pronti per ogni evenienza, dichiara Laura Boldrini, osservando il clima surriscaldato della vigilia. L’avvertimento della presidente della Camera a chi dirige il gioco, è fare in modo che, come giusto, tutti i parlamentari e i delegati regionali siano coinvolti, perché il Parlamento non può essere solo un’assemblea di ratifica, come insegna l’esperienza del 2013 e dei 101 franchi tiratori che affossarono Prodi. La partita vera, spiegano dalla maggioranza Pd, deve ancora iniziare. Renzi ha annunciato che darà il nome del suo candidato non prima del 28 gennaio. E anche l’appello a ‘collaborare’ sulla legge elettorale rivolto da Debora Serracchiani ai 5 Stelle, viene letto dalla minoranza Dem come un buon viatico se si cercherà di riportare in partita un candidato come Romano Prodi, ufficialmente bocciato da Grillo. Prima di arrivare al finale di partita, però, la strada è ancora molto accidentata.

Luigi Viscardi

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