La varicella è una malattia esantematica altamente contagiosa ed epidemica causata da un’infezione primaria con il VBirus varicella-zoster. La condizione inizia solitamente con rash cutaneo vescicolare, principalmente esteso al corpo e alla testa o anche alle estremità. Le vescicole guariscono poi senza lasciare cicatrici. All’esame, l’osservatore trova in genere lesioni in vari stadi di guarigione. La varicella si diffonde facilmente per via aerea attraverso colpi di tosse o starnuti di individui malati o attraverso il contatto diretto con le secrezioni del rash. Una persona con la varicella è infettiva uno o due giorni prima che appaia l’eruzione. Essa rimane contagiosa fino a quando tutte le lesioni vengono ricoperte da una crosta e le lesioni crostose non sono contagiose. Questa malattia, nota fin dall’antichità, venne nettamente distinta dal vaiolo soltanto ai primi del XIX secolo. Nei paesi a clima temperato si tratta di una delle classiche malattie dell’infanzia: la varicella risulta nel 90% dei casi una malattia dei bambini tra i 5 ed i 10 anni di età, con la maggior parte dei casi che si verificano durante l’inverno e la primavera, molto probabilmente a causa dei contatti ravvicinati che avvengono a scuola. Come la rosolia, è rara nei bambini in età prescolare. Ai tropici, la varicella colpisce spesso nelle persone anziane e può causare una condizione più grave. Negli adulti i segni sulla pelle risultano più scuri e le cicatrici appaiono più evidenti rispetto ai bambini. E’ una malattia altamente trasmissibile, con un tasso di infezione del 90% nelle situazioni di stretto contatto. Nei paesi a clima temperato la maggior parte delle persone viene colpita prima dell’età adulta, ma il 10% dei giovani adulti resta sensibile. Il virus infetta le cellule della mucosa respiratoria ed i linfonodi regionali, dove si moltiplica, dopodiché passa nel sangue (prima viremia), e raggiunge il fegat, la milza, altri linfonodi, dove si replica ulteriormente. A questa moltiplicazione segue una seconda fase di viremia, in cui il virus raggiunge la cute e le mucose. Nelle cellule epiteliali il virus causa le lesioni sotto forma di esantema: da lesioni maculo-papulose si trasformano rapidamente in vescicole rotodeggianti od ovalari con contenuto sieroso e limpido, che diventano poi purulente e torbide decretando così la trasformazione in pustole. Un vaccino contro la varicella è stato sviluppato da Michiaki Takahashi nel 1974, derivandolo dal ceppo Oka. Esso si è reso disponibile negli Stati Uniti a partire dal 1995. Alcuni paesi richiedono la vaccinazione contro la varicella prima di iniziare a frequentare la scuola elementare. Una dose di vaccino non è sufficiente per una prevenzione permanente, ma è necessaria una seconda somministrazione dopo cinque anni dall’immunizzazione iniziale. Ciò fa attualmente parte del programma di immunizzazione di routine negli Stati Uniti. Il vaccino contro la varicella non fa parte della campagna di vaccinazione di routine dell’infanzia del Regno Unito. Là, il vaccino è attualmente disponibile solo per le persone che sono particolarmente vulnerabili alla varicella. In Italia il vaccino è raccomandato, ma non obbligatorio, per gli adolescenti che non si sono ancora ammalati, per chi è a contatto con i bambini (maestri, educatori) o per i malati e i familiari di persone suscettibili e con difese immunitarie ridotte. Una persona vaccinata potrebbe comunque avere un caso, seppur lieve, di varicella, se infettata. Il vaccino è a pagamento in gran parte delle regioni italiane; è stato introdotto come vaccino raccomandato e gratuito solo in Toscana, Veneto, Sicila, e dal 2015 anche nella Provincia Autonoma di Trento. Oggi sappiamo che il vaccino per la varicella funziona e la prova arriva da Google che informa nei paesi dove l’immunizzazione è fortemente consigliata, o imposta per legge, le richieste in rete di informazioni sulla malattia diminuiscono drasticamente. Perché, banalmente, ci sono meno casi di contagio e meno genitori preoccupati. Non è la prima volta che gli scienziati interrogano Internet per avere informazioni sulla salute pubblica. La cosiddetta epidemiologia digitale è stata già testata per monitorare la diffusione dell’influenza stagionale, o di infezioni da rotavirus o norovirus. È la prima volta, però, che le abitudini degli internauti vengono usate per valutare l’efficacia di un vaccino. L’idea è venuta ad alcuni ricercatori dell’Università del Michigan che hanno passato al vaglio i dati di Google Trend provenienti da 36 paesi a partire dal 2004, concentrandosi sul periodo dell’anno più a rischio, la primavera. Migliaia di risultati degli ultimi 11 anni hanno consegnato un quadro affidabile delle epidemie di varicella e hanno confermato che il vaccino funziona, perché là dove viene fatto Google è lasciato in pace. La ricerca, pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences(Pnas), rappresenta una delle più vaste indagini di epidemiologia digitale mai condotte. I ricercatori sono infatti convinti che il loro modello di indagine possa avere molte applicazioni. Soprattutto per monitorare la salute dei bambini a livello globale. Perché quando i figli stanno male, i genitori di tutto il mondo, almeno là dove il web è accessibile, fanno la stessa cosa: vanno su internet in cerca di informazioni sui rimedi, i sintomi, le complicanze. Lasciando tracce preziose per gli epidemiologi.
Clementina Viscardi