Il senato degli Stati Uniti viene messo dal presidente Trump, per la seconda volta in pochi mesi, di fronte alla necessità di dover violare regole consolidate. Accadde a febbraio con la scelta del ministro della Pubblica Istruzione, quando venne confermata la repubblicana di 59 anni, Betsy DeVos. L’aula si era divisa a metà con 50 voti a favore e 50 contro. A spostare l’ago della bilancia fu il vicepresidente Mike Pence, formalmente presidente del senato, che assicurò la nomina della miliardaria. Per la prima volta nella storia americana il vicepresidente confermò un ministro, di fatto violando un principio costituzionale basilare: la separazione dei poteri tra esecutivo e legislativo.

Si va ripetendo una situazione simile per la nomina a giudice supremo a vita dell’ultraconservatore Neil Gorsuch: la scelta compete al presidente, ma necessita del consenso del senato.

La situazione è previsto si definisca entro domani 6 aprile. Per ora si registra il sì della commissione Giustizia del Senato, ma è in plenaria che si deciderà, e lì è garantita una grossa incertezza  visto che i repubblicani, per evitare il filibustering (l’ostruzionismo attraverso montagne di emendamenti) dei democratici, garantiscono di attivare la cosiddetta opzione ‘nucleare’, ovvero il voto a maggioranza semplice.

L’ostruzionismo, come sappiamo bene in Italia, è pratica parlamentare che da un lato assicura i diritti della minoranza, dall’altro impedisce all’organo della rappresentanza popolare di funzionare.  Con i 48 voti disponibili, i democratici sono in grado di allungare il dibattito e impedire ogni nomina presidenziale, visto che, in quei casi, la maggioranza qualificata prevista è di almeno 60 senatori.

Tocca quindi ai repubblicani invocare l’opzione nucleare.

In circostanze normali Gorsuch, giudice d’appello federale con sede a Denver, Colorado, un curriculum universitario specchiato targato Ivy League e un passato presso uno degli studi legali più quotati di Washington, sarebbe un candidato conservatore convenzionale alla Corte ma la minoranza democratica del Senato potrebbe di malavoglia accettare. Ma le circostanze non sono normali.

Da quando Trump è  alla Casa Bianca i rapporti tra i due partiti al Campidoglio si sono bruscamente deteriorati e ora i democratici stanno rinviando di proposito la conferma dei più importanti candidati di Trump a occupare posizioni di governo.

I repubblicani controllano il Senato 52 a 48, ma per la conferma, ricordiamo,  di un giudice supremo serve una maggioranza di 60 voti.