Domenica mattina, sotto un cielo cupo e percorso da un vento tagliente, arrivo a Viterbo. Ma è bastato varcare la soglia dell’antico e suggestivo complesso di Santa Maria in Gradi per sentir svanire il freddo: l’atmosfera era quella di un abbraccio caldo e conviviale.
Ad accogliermi, oltre sessanta stand gremivano armoniosamente gli spazi, dando vita a un vero e proprio microcosmo del patrimonio enogastronomico del Lazio. Nonostante l’affluenza, il clima restava intimo, raccolto. Gli espositori, orgogliosi custodi di sapori autentici, accoglievano con sorrisi sinceri e inviti spontanei all’assaggio. Non ho saputo resistere: salumi e formaggi hanno trovato posto nella mia borsa e, ancor prima, nella mia memoria sensoriale.
Alle ore 13, il cuore pulsante dell’evento prende forma: ci si sposta nell’area museale, trasformata per l’occasione in un’arena culinaria sobria e accogliente. Qui prende il via “Un assaggio di assaggi – un viaggio tra sapori e profumi”, guidati dalla voce colta e appassionata dell’antropologa del cibo Francesca Rocchi. Non solo una degustazione, ma un vero rito collettivo. Il cibo, afferma Rocchi, è cultura, è identità. “Noi siamo quello che mangiamo”, ricordando Feuerbach.
Il racconto dei produttori si fonde con la maestria della chef Emanuela Crescienzi – Ambasciatrice del peperoncino italiano nel mondo – che prepara in diretta una pasta di grattini allo zafferano. Gli ingredienti? Eccellenze locali: la pasta è prodotta dalla società agricola “La mia pasta” dei Fratelli Troiani, progetto virtuoso fondato da Paolo Troiani, che propone grani non ibridati e a basso contenuto glicemico, veri antidoti alla standardizzazione dell’industria alimentare.
Segue l’intervento dell’azienda “Zafaran Cuore Rosso” di Nepi, che svela la fatica e la poesia celate in un solo grammo della preziosa spezia: ben 200 fiori. Il confronto con il prodotto commerciale, spesso surrogato di coloranti e aromi, è impietoso. Qui si celebra l’essenza, il vero sapore. E quando la degustazione finalmente arriva, accompagnata da un calice elegante di vino bianco firmato Casale del Giglio, tutto acquista un senso. Lo zafferano danza sul palato con delicatezza raffinata, imprimendo nella memoria un ricordo indelebile.
Alle 15:15 è la volta dello chef Fabrizio Pagliaroni, che ci conduce nell’universo narrativo della sua osteria “Buccia” a Sabaudia. Un progetto controcorrente: rifiuta i cliché della cucina marinara da cartolina per abbracciare un’identità più autentica, radicata nel territorio. Pagliaroni dà voce al bufalo, alla capra e alla pecora dell’Agropontino, creature antiche e resilienti, spesso ignorate dalla grande cucina. La sua è un’ode alla terra, alla cucina integrale, senza sprechi: anche le ossa hanno dignità gastronomica.
Il piatto presentato – gnocchetti con ragù di bufalo, vino di Casa Mecocci e uno strepitoso olio di Vetralla – è un inno alla semplicità complessa. Un assaggio che, a quasi cinquant’anni, mi ha permesso di scoprire un sapore mai esplorato. E per questo non posso che esprimere gratitudine.
Questo evento non è stato solo una celebrazione del gusto, ma un’autentica esperienza culturale. Un invito, quasi una preghiera laica, a nutrirsi in modo consapevole, rispettoso, radicato. Un viaggio che chiama alla memoria, al territorio, all’anima.
Jessica Di Guida