epa08800088 Russian President Vladimir Putin during a working meeting via teleconference call at the Kremlin in Moscow, Russia, 05 November 2020. EPA/ALEXEI NIKOLSKY / SPUTNIK / KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT

Ucraina-Russia, per il cessate il fuoco o verso offensive mirate?

La guerra in Ucraina, nonostante i passi avanti fatti registrare negli ultimi incontri in Turchia, prosegue. Il riposizionamento delle truppe russe lascia parecchi dubbi sull’effettiva volontà di Mosca di arrivare a breve ad un cessate il fuoco, e le azioni sul campo si incrociano inevitabilmente con la guerra energetica, dal decreto di Putin per farsi pagare il gas in rubli alle differenti posizioni die paesi Ue riguardo le forniture di gas e, in alcuni casi, sul finanziamento al riarmo.

Europa e Nato hanno espresso nell’ultimo mese una unità d’intenti inedita nell’ultimo decennio. Ma gli interessi di Europa e Usa fino a che punto collimano?

Perché se è evidente che l’Occidente dovesse fare fronte comune contro la sconsiderata invasione russa dell’Ucraina, gli sviluppi non coinvolgono necessariamente nella stessa misura tutte le parti in causa. E’ evidente dalle parole che arrivano quasi quotidianamente dagli Usa, spesso derubricate a ‘gaffes’ del presidente Joe Biden ma che gaffes non sono. “E’ da un anno e mezzo che armiamo l’ucraina”; “Putin è un macellaio e un criminale di guerra”; “Putin è un dittatore che non può restare al potere”. Sono tre fra le tante uscite più recenti del presidente americano, in cerca di consensi per le elezioni di mid term in un periodo in cui la sua popolarità casalinga è ai minimi storici, addirittura inferiore a quella di Trump dopo due anni di presidenza. Uscite che, oltre ad aver mandato su tutte le furie Mosca, hanno creato diverse perplessità anche in Francia e in Germania.

Perché questo tipo di comunicazione, oltre a dare argomenti alla Russia (ammettere di avere armato per quasi due anni unilateralmente l’Ucraina non è cosa da poco), toglie inevitabilmente spazio ad un possibile negoziato. Proprio nel momento in cui, con l’esercito russo sostanzialmente impantanato e Putin isolato, potrebbe avere maggiori possibilità di successo. Un Putin stretto nell’angolo è più o meno pericoloso? Lasciargli una via d’uscita potrebbe essere saggio o è meglio spingerlo ulteriormente con le spalle al muro, sapendo che detiene comunque un arsenale nucleare da cui potrebbe pescare almeno per le armi tattiche? Gli Usa vogliono far fuori Putin, ma all’Europa conviene uno scenario di guerra prolungata nel Vecchio Continente?

E’ evidente che se sul piano strategico-militare Usa e Ue sono appaiate, su quello degli interessi economici la musica è ben diversa. Come conferma il braccio di ferro energetico su gas e petrolio, con l’America che può alzare il livello delle sanzioni – forte della sua indipendenza su entrambi i fronti e anzi con la possibilità di vendere il proprio gas all’Europa – mentre Germania e Italia in primis rischiano seriamente di pagare un conto salato. Non solo nel presente, ma anche nel futuro visti i rapporti economici fra le aziende europee e quelle russe, panorama estraneo agli Usa.

Insomma, vale la pena seguire gli americani e Zelensky fino alla defenestrazione di Putin, o ci converrebbe di più negoziare? Anzi, forse la domanda più logica che oggi l’Europa – militarmente schiacciata sulla Nato – dovrebbe porsi è la seguente: vogliamo un tavolo di pace o la fine di Putin? Perché si tratta di due strade e due percorsi nettamente divergenti, laddove il secondo è interesse strategico soprattutto dell’America, il primo dell’Europa. Nel presente e nel futuro.

L’organizzazione russa indipendente Levada Center, che si occupa di sondaggi, ha testato il gradimento del presidente Putin tra i cittadini russi. Allo stato attuale Putin sembra non aver perso consensi tra il popolo russo nonostante la guerra in Ucraina e le stesse morti dei soldati russi.

Addirittura la popolarità di Putin è in crescita con una percentuale di approvazione dell’83%. Questa percentuale è la più alta degli ultimi anni. Nemmeno le sanzioni imposte dall’Occidente sembrano aver scalfito i consensi del presidente russo. Va detto che Levada Center è un’associazione non governativa che, per le sue indagini sociologiche, è stata definita dalle autorità locali agente esterno.

Il sondaggio condotto da Levada Center tra i cittadini russi ha interessato un campione molto alto. Il 44% degli intervistati si è detto ancora fiducioso nella figura di Putin e l’aumento verso il presidente è del 10%. Soltanto un mese fa le percentuali erano piuttosto inferiori. Le nuove percentuali hanno destato parecchio scalpore vista la situazione disastrosa in Ucraina. Il sondaggio è stato realizzato nel periodo compreso dal 24 al 30 marzo 2022.

Nel dettaglio l’83% degli intervistati si è detto favorevole all’attività generale di Putin, il 71% approva l’operato del presidente del Consiglio, il 70% quello del governo e il 59% quello della Duma di Stato. C’è poi un altro dato interessante che riguarda la fetta di popolazione che, se prima si mostrava titubante, adesso pensa che le cose stiano migliorando. Si tratta, in particolare, del 69% dei cittadini russi che, invece, a febbraio si attestava al 52%.

Oltre alla figura di Vladimir Putin anche altri esponenti politici hanno ottenuto un ampio e crescente consenso da parte della popolazione. In particolare Sergei Shoigu, ministro della Difesa, e Sergey Lavrov, ministro degli Esteri, hanno riscosso consensi pari al 15%.

Ancora ci si chiede se da parte russa ci sia effettivamente interesse a una pace duratura e cosa Kiev dovrà cedere per fermare la violenza russa. Condizioni irrimediabilmente legate ai destini dei territori occupati, soprattutto nel sud-est dell’Ucraina.

Il ministero della Difesa russo ha annunciato che avrebbe concentrato le proprie forze nella zona del Donbass, con l’obiettivo di «liberare» il territorio rivendicato dalle autoproclamatosi repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.

Uno dei maggiori limiti dell’offensiva russa è stata la diffusione delle truppe su fronte troppo vasto, che non ha permesso di concentrare le forze in offensive mirate. Sfruttare le vittorie preliminari in Donbass e sul Mare d’Azov avrebbe senso: la presa di Mariupol disimpegnerebbe circa sei battaglioni e nel medio termine permetterebbe di accorciare la linea del fronte.

La conquista di queste zone e la presa di Mariupol aprirebbero parecchie opzioni a Mosca, anche se le intenzioni del Cremlino rimangono pura speculazione. In queste regioni le avanzate russe hanno avuto più successo che nel nord, e la conquista di Kherson ha anche alimentato le voci di una prossima dichiarazione di una Repubblica Popolare di Kherson, aggiungendosi agli Stati fantoccio di Donetsk e Luhansk.

L’autonomia di Kherson permetterebbe potenzialmente un ritorno al conflitto “ibrido” del 2014-2021, rendendo più plausibile anche lo schieramento di truppe più sacrificabili come mercenari siriani e membri della criminalità organizzata.

Al netto di tutte queste considerazioni, la proclamazione di una repubblica autonoma rimane per ora completamente ipotetica. È probabile che Mosca voglia tenersi tutte le strade aperte e che considererà l’autonomia per la regione solo nel caso in cui le trattative con Kiev dovessero fallire.

Anche le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, in fondo, sono rimaste per anni nell’oblio del non-riconoscimento russo, almeno fino a quando il Cremlino ha creduto di poter risolvere il conflitto con altri mezzi.

Non è ovviamente da escludere che la Russia decida di annettersi le due regioni, una mossa potenzialmente azzardata nel caso in cui il conflitto con Kiev dovesse continuare.

A favore dei difensori c’è anche la natura della Rosgvardia, la milizia paramilitare utilizzata dai russi per il controllo territoriale: troppo violenta per operazioni di polizia leggere e troppo poco armata per combattimenti ad alta intensità, e complessivamente non è ben equipaggiata per gestire un’operazione di repressione così complessa.

Ci sono voci insistenti che riguardano le cattive condizioni di salute di Vladimir Putin che, secondo fonti russe riportate dai più importanti media internazionali, avrebbe il cancro. A far nascere i sospetti sono state le continue visite che il medico Yevgeny Selivanov, chirurgo del principale ospedale di Mosca, ha fatto al resort Sochi, sul Mar Nero, tra le residenze preferite del capo di Stato.

Il camice bianco avrebbe raggiunto il leader numerose volte nella casa vacanza, per visitarlo. Insieme a lui una équipe formata da altri specialisti che, lontano dal Cremlino, starebbe valutando i piani terapeutici per curare Vladimir Putin.

Selivanov è specializzato nella diagnostica e nel trattamento chirurgico del cancro alla tiroide nei pazienti in età senile. E sarebbe proprio questo il disturbo dello Zar, che compirà 70 anni a ottobre.

Questa teoria confermerebbe anche il gonfiore sospetto della faccia del presidente russo, che sarebbe sottoposto a trattamenti a base di farmaci steroidei, come il cortisone, a causa del tumore.

A lanciare la notizia è stato il gruppo russo Project, che si occupa di informazione indipendente e continua a operare dall’estero, viste le nuove misure decise da Vladimir Putin che hanno censurato i media in patria.

Vladimir Putin ha più volte incontrato pubblicamente il capo del Centro nazionale di ricerca medica di endocrinologia, Ivan Dedov.

In precedenza si è parlato anche della possibilità che Vladimir Putin abbia il morbo di Parkinson. Sembra certo comunque che il presidente russo tema la morte: avrebbe paura di essere avvelenato dai suoi.

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