Partiamo dal principio che i Paesi sovrani non si invadono e che gli aggressori non possono restare impuniti. Il 24 febbraio del 2022 la Russia invase l’ Ucraina, con l’ illusione di Putin di conquistare Kiev in pochi giorni. Sono passati tre anni e gli ucraini si difendono con grande coraggio, continuando a combattere per la loro indipendenza. Non essere dalla loro parte significa non condividere i valori su cui si fonda l’UE. Un mese fa gli Stati Uniti di Donald Trump all’ Assemblea generale dell’ Onu hanno votato contro la risoluzione che condannava la Russia per l’ aggressione ai danni dell’ Ucraina e chiedeva la restituzione a Kiev dei territori occupati. Con quel voto la Casa Bianca ha portato il suo Paese , sostanzialmente, fuori dall’ Alleanza Atlantica. Certamente non è ancora un passo formale, ma manca poco. Senza l’ America la Nato non è in grado di difendere l’ Europa. Occorre dotarsi di una difesa indipendente se non vogliamo correre il rischio di diventare uno stato satellite di Putin. Come la scelta di stare con l’ Ucraina, così anche l’ esigenza di crearsi una difesa propria, non può essere messa in discussione. Il problema di dotarsi di armi proprie, non è il costo, perché l’ UE ogni anno in termini di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, spende fino al 4% del reddito delle famiglie europee. Basterebbe dirottare verso la difesa interna parte di quell’ eccesso di risparmio. Senza tenere conto che già oggi l’ UE per la propria difesa spende una somma che supera di gran lungo quella della Russia. Il problema non è la spesa, bensì la difficoltà di rendere coesi i 27 membri dell” Unione che non si parlano e spesso non collaborano. Bisognerebbe emettere dei titoli europei per investire in termini di difesa comune, così come si è fatto durante l’ epidemia del COVID per aiutare chi aveva perso il lavoro a causa della pandemia. Il cosiddetto piano Ursula, meglio denominato ReArm, prevede che Bruxelles metta a disposizione dei singoli Stati membri circa 150 miliardi in prestiti da investire per la difesa. Questi prestiti dovrebbero finanziare acquisti da produttori europei per stimolare la nostra industria della difesa. Ma sorge spontanea la domanda:” Perché limitarsi a 150 miliardi se la Commissione stima che la cifra che occorre per il riarmo è di 800?” Basterebbe, come innanzi detto, non investire risorse altrove. E nemmeno occorrerebbe dirottare i fondi di coesione che le regioni usano per sanità , scuola ecc. Tornando all’ Italia, anche il nostro Paese deve puntare ad una scelta chiara e senza ambiguità se non vogliamo correre il rischio di rimanere isolati in Europa.
Andrea Viscardi