Trump al vertice Nato rivendica il risultato raggiunto nella guerra Israele-Iran

«Sia Israele che l’Iran volevano fermare la guerra. È stato un grande onore per me distruggere tutti gli impianti e le capacità nucleari e poi, fermare la guerra». Donald Trump in un post sul suo social rivendica il risultato della tregua raggiunta nelle ultime ore. È l’ultimo post scritto dal presidente americano prima del volo per l’Aja, in vista del vertice della Nato. Il cessate il fuoco annunciato da Trump a partire dalle 6 del mattino del 24 giugno, ora italiana, sebbene esile, ha fermato le ostilità.

Durante le prime 12 ore di tregua non si sono registrate vittime né feriti, fatta eccezione per un attacco israeliano contro un radar nel nord dell’Iran.  Il presidente americano ha inquadrato il cessate il fuoco come frutto diretto degli attacchi aerei Usa sulle centrali nucleari iraniane. La pax trumpiana, imposta con i raid aerei, ma anche sul fronte diplomatico. Da questo punto di vista, il presidente americano ha svolto un ruolo centrale, conducendo una conversazione telefonica con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Un deputato repubblicano chiede il Nobel per la pace a Trump

Durante il colloquio telefonico con Netanyahu, Trump ha ribadito che Israele non effettuerà ulteriori attacchi e che gli aerei torneranno indietro “lanciando un saluto aereo amichevole”. La sera precedente, il presidente statunitense aveva annunciato sul social Truth che Israele e Iran lo avevano contattato quasi simultaneamente per discutere la cessazione delle ostilità, sottolineando il suo auspicio per un futuro di pace e prosperità.

Il deputato repubblicano Earl “Buddy” Carter che ha scritto una lettera al Comitato per il Nobel per candidare “formalmente” il presidente Trump al Nobel per la pace. “Scrivo per nominare formalmente il presidente Donald Trump per il Premio Nobel per la pace, come forma di riconoscimento per il ruolo straordinario e storico da lui giocato per mettere fine al conflitto tra Israele e Iran, impedendo al principale sponsor globale del terrorismo di acquisire l’arma più letale al mondo”, si legge nella lettera. Finché regge la tregua.

Gli alleati del Patto Atlantico, tutti, ad eccezione della riottosa Spagna, che si mette in una posizione di assoluto isolamento internazionale, si impegnano a portare la spesa annua nella difesa, e nella sicurezza, al 5% del Pil entro il 2035. “Uniti di fronte alle profonde minacce e sfide per la sicurezza – riporta la dichiarazione diffusa al termine del summit all’Aja – in particolare alla minaccia a lungo termine rappresentata dalla Russia per la sicurezza euroatlantica e alla persistente minaccia del terrorismo, gli Alleati si impegnano a investire il 5% del Pil all’anno in requisiti di difesa fondamentali, nonché in spese relative alla difesa e alla sicurezza, entro il 2035, per garantire i nostri obblighi individuali e collettivi, in conformità con l’articolo 3 del Trattato di Washington”. E la Spagna? Sottoscrive gli obiettivi strategici ma non si impegna sul 5%, in modo pilatesco e ambiguo, scatenando la rabbia di Trump contro il leader socialista: “Pagherà con dazi raddoppiati!”. I socialisti spagnoli, però, sono isolati anche tra i socialisti europei, visto che anche dal premier danese arriva la sconfessione di Sanchez. Che però incassa la solidarietà del Pd e della Schlein, che avrebbe preferito un “no” del governo Meloni agli accordi Nato, mettendosi così in posizione isolata.

Gli investimenti “garantiranno la disponibilità di forze, capacità, risorse, infrastrutture, prontezza operativa e resilienza necessarie per la deterrenza e la difesa, in linea con i nostri tre compiti fondamentali: deterrenza e difesa, prevenzione e gestione delle crisi e sicurezza cooperativa”. In dieci anni, il quadro dovrebbe completarsi. Nella dichiarazione si specifica che il 5% è composto da un 3,5% nella difesa propriamente detta, “come definita dalla Nato”, e da un 1,5% annuo destinato a ” tra l’altro, proteggere le nostre infrastrutture critiche difendere le nostre reti, garantire la nostra preparazione e resilienza civile, stimolare l’innovazione e rafforzare la nostra base industriale della difesa. La traiettoria e l’equilibrio della spesa nell’ambito di questo piano saranno rivisti nel 2029, alla luce del contesto strategico e degli obiettivi di capacità aggiornati”.

L’intesa sulla Nato e la soddisfazione della Meloni

In salvo, dunque, anche il patto di mutuo soccorso, il famoso articolo 5. “Riaffermiamo il nostro ferreo impegno per la difesa collettiva, come sancito dall’articolo 5 del Trattato di Washington: un attacco a uno è un attacco a tutti”.

“Noi dobbiamo decidere dove stiamo, facciamo parte della Nato che è il sistema di difesa occidentale, e che è basata su eserciti nazionali che cooperano. Se costruissimo una difesa di un altro livello vorrebbe dire o uscire dalla Nato o immaginare che anche la Nato debba avere una difesa della Nato, che non esiste. Oppure siamo la colonna europea della Nato e lavoriamo per far cooperare molto meglio a livello europeo la nostra difesa e le nostre aziende, che è quello che stiamo facendo. Se parliamo di difesa europea ne parleremmo in misure svincolata dal contesto Nato e questo sarebbe duplicazione che non ha senso e non ce lo possiamo permettere. Quello che dobbiamo fare è rafforzare il sistema Nato con una colonna europea della Nato che deve stare allo stesso livello di quella americana se vogliamo difendere i nostri interessi”. Sui dazi, Meloni sostiene di essere abbastanza d’accordo su un’intesa con gli Usa al 10 per cento “perché tale misura, stando alle interlocuzioni con le imprese, non è “per noi molto impattante”. Neanche un euro – precisa Meloni – sarà sottratto alla sanità o ad altre spese primarie.

Le comunicazioni di Giorgia Meloni sono state abbastanza deludenti. Costretta ad aggiornare di volta in volta il proprio intervento e il tenore delle rivendicazioni a causa della mutevolezza dello scenario internazionale, la presidente del Consiglio si è ridotta a banalizzare la nostra linea in termini di difesa, con l’aumento vertiginoso delle spese militari, con quel “si vis pacem para bellum” che doveva essere sembrato inadeguato anche quasi due millenni fa. Non ha detto dove troverà i soldi, non ha illustrato un progetto per armonizzare gli investimenti con gli alleati europei, non sappiamo nulla di preciso su piani o tempistiche. Lo stesso canovaccio Meloni lo ha ripetuto sulle altre questioni di cui si occuperà il vertice europeo: oltre la narrazione dell’Italia che è “tornata a contare”, che “si pone come mediatrice” (dal Sahel a Gaza, ovunque e per qualunque questione), il nulla o quasi. Del resto, c’è poco da girarci intorno: la nostra presidente del Consiglio ha fatto una scelta chiara, diventare la quinta colonna trumpiana in Ue, in modo da fare dell’Italia il vero laboratorio della destra identitaria e sovranista in Europa.

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