Tiziana Guida, moglie di un pentito accusa lo Stato “mi ha lasciato sola”

“Lo Stato ci ha scaricato come zavorre dopo che mio marito ha dato allo Stato e ha preso in cambio condanne gravi che oggi pesano anche su di noi, che nulla abbiamo fatto di male tranne che amare una persona che a sua volta aveva sbagliato ma che voleva rimediare, riscattarsi, cambiare”. E’ quanto afferma Tiziana Giuda, moglie del collaboratore di giustizia crotonese Vincenzo Marino, in una lettera pubblicata stamane sul sito “Guardie o Ladri” del giornalista del Sole 24 Ore, Roberto Galullo. Marino, che apparteneva alla cosca dei Vrenna – Bonaventura.

Dopo una serie di presunte violazioni, il Viminale ha deciso di revocare il programma di protezione ed il collaboratore di giustizia si è rivolto al Tar del Lazio. Nella lettera diffusa dall’avvocato Claudia Conidi, Tiziana Giuda evidenzia inoltre che ”oggi io e i miei figli siamo nelle mani di un Tribunale amministrativo regionale, il Tar del Lazio, che deve decidere se potremo continuare a vivere o, al contrario andare nella tana dei lupi da cui eravamo fuggiti. Si, perché ‚ tornare in Calabria significa morire: non tornare in Calabria significa essere scovati da chi cerca di ammazzarci, come è successo aduna nostra compaesana. Che abbiamo tanti nemici nulla conta per lo Stato che vuole solo raggiungere i suoi fini. Il contratto lo fa il pentito con lo Stato ma i suoi figli, sua moglie ne seguono le sorti, anche se non hanno fatto nulla di male”.  La donna continua disperata ”si butta una zavorra anche se dentro ci sono persone innocenti, che hanno già patito ingiustamente, nè casa, né assistenza sanitaria, né un contributo economico. Nulla. Solo la strada e i cecchini dietro l’angolo pronti a darti la caccia ovunque tu sia. Mi domando e ti domando Stato, è giusto tutto questo? Io ho solo fatto la moglie e la mamma, non credo di meritare la morte. Ho solo sperato di guardare il mondo con occhi nuovi, puliti, diversi, non impauriti, non velati dalla vergogna. Ho solo aderito astare dalla parte della legalità, finalmente”. ”Eppure , conclude , lì dove eravamo ci siamo dovuti auto tutelare. Ti guardano e dicono: siete ‘pentiti’? Perché ‚ arrivi dal nulla, non sei nessuno, non puoi parlare con nessuno. Devi saper fingere, mascherare il tuo accento calabrese e se non sei pronta cadi nel tranello.

Queste sono le parole della donna, lasciata sola  dallo Stato in balia dei clan, stravolta e stanca di vivere con l’ansia di esser uccisa da un momento all’altro, solo perché è la moglie di un pentito.

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