Tartaglia Arte: parla Egon von Fürstenberg, il fotografo che svela il dietro le quinte dell’arte

Marito della curatrice Adelina von Fürstenberg e fotografo di fama, Franz Egon von Fürstenberg (Berlino, 1939) ha riunito in un libro una selezione di scatti che ripercorrono il suo legame con i protagonisti del mondo dell’arte. La regista Alessandra Galletta l’ha intervistato. Dove erano custodite queste immagini prima di essere raccolte in Photographing Art, e che rapporto avevi con loro? Che cosa rappresentavano per te? Partecipare semplicemente alle mostre curate da mia moglie Adelina non mi bastava. Erano eventi basati innanzitutto sulla partecipazione tra artisti, curatori, allestitori, amici… Realizzare delle fotografie era il mio modo di essere presente, rendermi utile e soprattutto divertirmi tanto. Una serie di scatti era dedicata alle opere, che venivano subito utilizzate per documentare le mostre, ma gli altri scatti erano realizzati nella libertà e nella condivisione del tempo insieme agli artisti. Questi ultimi entravano in una sorta di collezione a uso personale. Non erano finalizzati ad alcuna pubblicazione, e questo rende il volume forse uno strano libro, privato ma… pubblicato. Hai sempre sviluppato le immagini o hai ancora anche dei negativi mai stampati? Finché è stato possibile ho sviluppato e stampato personalmente le mie immagini, poi con l’evolversi della tecnologia tutta la parte manuale di acidi e camera oscura è diventata obsoleta, ma l’atmosfera magica in quella fioca luce rossa mi manca. Mi manca quel rituale che segue lo scatto: lavorare allo sviluppo dei bianconeri era un’alchimia spesso imprevedibile e misteriosa. Oggi si affida questa parte agli studi fotografici professionali, ma il fotografo non è un tecnico, è proprio un alchimista o perlomeno lo era. Adelina nei decenni ha inaugurato centinaia di mostre, dunque tu avrai realizzato migliaia di immagini. Con quale criterio hai selezionato quelle da inserire nel volume? È stata Adelina, durante il lockdown, a decidere di tirare fuori tutte le immagini archiviate nei decenni, 20000 scatti da negativi e oltre 2000 diapositive! Con un giovane fotografo, figlio di un suo ex assistente, hanno fatto una prima selezione e successivamente con Alessandra Mammì hanno fatto una seconda selezione di circa 700 immagini che, nel 2021 con me, di selezione in selezione, sono diventate le 250 immagini raccolte nel libro. È stato un lavoro difficile perché abbiamo dovuto scartare almeno altrettante immagini davvero “storiche”, ma siamo pronti per un secondo volume!

LA FOTOGRAFIA SECONDO FRANZ EGON VON FÜRSTENBERG

Sembra non esserci alcun esercizio di ego né da parte tua né da parte dei tuoi soggetti; sono foto naturali, come respirare. Un animo ben diverso da quello della fotografia di oggi, il famoso “selfie” in cui è il soggetto che fotografa se stesso al puro scopo di pubblicazione a beneficio di qualunque sconosciuto. La verità di queste immagini è proprio il clima di amicizia e rilassatezza che caratterizzava quei giorni trascorsi insieme a lavorare, a progettare, a immaginare e condividere il lavoro ma anche la vita. Quando si sta tra simili, nel rispetto e nella disponibilità degli uni verso gli altri, l’ego non serve a nessuno. Potrei dire che queste fotografie siano l’antitesi dell’odierno “selfie”. O piuttosto era l’arte che si faceva un selfie attraverso di te. Che cosa è cambiato del nostro rapporto con la fotografia, da quando le foto ce le facevano gli altri e l’idea di fotografarsi da soli era inconcepibile? Non mi sono mai preoccupato di “esserci”, di esercitare quell’io c’ero a cui oggi sembrano tenere tutti moltissimo. Io c’ero ma dietro la macchina fotografica, ed è sempre il posto in cui mi trovo meglio. Non chiedo di essere ritratto e tantomeno mi ritrarrei… da solo! Ti sfido a trovare anche una sola immagine di me online. Chi sono stati i soggetti più fotogenici secondo te? Quelli che si sono donati al tuo obiettivo con maggiore generosità e disponibilità? Non mi è mai capitato che qualcuno si sottraesse volontariamente a un mio scatto, che esprimesse esigenze particolari di luce o inquadratura. Non c’era la distanza nemmeno mentale tra fotografo e fotografato perché tutti eravamo ugualmente immersi nella stessa esperienza, nella stessa avventura. Hai mai “costruito” un’immagine modificando la scena o chiedendo un atteggiamento particolare alla persona fotografata, inseguendo una tua idea compositiva dell’immagine? … Mai!

FRANZ EGON VON FÜRSTENBERG E GLI ARTISTI

Dalle tue immagini non si percepisce alcuna enfasi sul “ritratto” del grande artista, da Alighiero Boetti a Vito Acconci, da Marina Abramović a Andy Warhol, da Joseph Beuys a Michelangelo Pistoletto. Sembrano piuttosto foto di famiglia. Il tuo rapporto con l’arte è un rapporto di famiglia? Il legame tra noi era più l’appartenere allo stesso mondo. Come in una famiglia ci si sostiene reciprocamente, ma nel rispetto di ogni singola individualità. Tutto questo accadeva con grande spontaneità e non c’era una regia. Oggi sarebbe più complicato data la crescente influenza di gallerista, collezionista, ufficio stampa, art advisor… Quella familiarità ha lasciato il posto all’appartenenza a una precisa categoria, a un clan, a una lobby. Sembra che tu sia stato più interessato a fotografare le persone piuttosto che le loro opere. È perché la foto di un’opera richiede una lettura più oggettiva, meno coinvolta, che l’hai lasciata spesso sullo sfondo dell’immagine? O perché è più importante per te l’aspetto umano (il corpo dell’artista) che quello eterno (della sua opera d’arte)? In realtà ho fotografato sempre anche le opere, ma questo non vuole essere un libro che racconta le opere, piuttosto un libro che racconta gli artisti nel momento speciale dell’incontro con l’altro. Quella che traspare dalle tue immagini è una grande allegria e serenità, momenti che raccontano di una magica armonia tra le persone, le opere e le cose. Nel tempo hai visto mutare questo atteggiamento degli artisti, o è rimasto lo stesso anche nella progressiva mercificazione del gesto artistico, nel progressivo istituzionalizzarsi degli eventi d’arte? Se ancora oggi guardando queste immagini si sente l’allegria e la vitalità di quei giorni, allora aveva ragione Adelina sul fatto che questo libro andasse assolutamente fatto! Quello che volevo raccontare ieri e che tu senti oggi era proprio la gioia dell’ascoltare e capire l’altro. È più di una simpatia, è empatia. Era un mondo straordinario che oggi diventa sempre più ordinario. Tra tutti questi ritratti, ce n’è uno al quale sei particolarmente affezionato? Una stampa preferita che tieni tutta per te? Certo, ho stampato e appeso proprio nella mia camera da letto un mio ritratto a Joseph Beuys che posa davanti a un suo autoritratto.

L’ARTE DAL PUNTO DI VISTA DI FRANZ EGON VON FÜRSTENBERG

Queste immagini sono state anche il tuo modo di partecipare e valorizzare il lavoro di Adelina? Farle sentire la tua partecipazione profonda al suo grande talento curatoriale e umano? Se non avessi incontrato Adelina, forse non sarei mai entrato nel mondo dell’arte. Il suo mondo è diventato il nostro. Quando ha cominciato a curare le mostre, io ero il suo fotografo ufficiale, registrando tutto quello che inventava. Che cosa ti ha lasciato nel tuo complesso curriculum l’esperienza dell’arte? Che cosa pensi di questo mondo, che hai frequentato tanto intensamente? Continuiamo ad amare e frequentare l’arte e gli artisti, ma quelli che sono entrati più recentemente in questo ambiente hanno un modo di vivere l’arte diverso dal nostro. Più che dall’opening sembri più affascinato dal “making of” di una mostra. Il “dietro le quinte” ha più attrattiva per te del debutto pubblico? Ho fotografato anche diversi opening, il fatto è che in quella circostanza le persone tendono più a mettersi in posa, stare “a favore di camera”. Durante l’allestimento invece non fanno caso a me perché tutta la loro concentrazione va nel loro lavoro. C’è solo chi è necessario, compresi gli assistenti, i montatori, gli addetti ai lavori e nessun altro. Qual è l’insegnamento più prezioso che hai tratto dal tuo Photographing Art? Non avrei mai pensato che il mio personalissimo “genere” fotografico esprimesse qualcosa di più che un semplice racconto del pianeta in cui viviamo. Ho fotografato persone, elementi della natura, opere d’arte, animali che, sullo sfondo o in primo piano, sono entrati nell’inquadratura come l’asinello dietro Adelina, Nan Goldin e gli altri a Hydra, il gatto che si scalda davanti al camino con Lenora De Barrios a San Paolo, il pappagallo di Jannis Kounellis sul Lago Maggiore. La pluralità delle creature che erano parte delle nostre avventure. Sfogliando questo libro cosa provi? Emozione. Distanza, nostalgia o è tutto presente come fosse oggi? Passato, presente… ma che differenza fa? Art is forever.

By Alessandra Galletta – artribune.com

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