‘Storie di guappi e femminielli’, di Monica Florio, edito da Guida Editore

‘Storie di guappi e femminielli’, edito da Guida editore  è, in ordine di tempo, l’ultima opera letteraria  di Monica Florio.

L’autrice è una giornalista e  operatrice culturale napoletana. In precedenza ha  pubblicato il saggio ‘Il guappo – nella storia, nell’arte, nel costume’ (Kairòs Edizioni, 2004), la raccolta di racconti ‘Il canto stonato della Sirena’ (Ilmondodisuk Libri, 2012), i romanzi ‘Puzza di bruciato’ (Homo Scrivens, 2015),  ‘Acque torbide’ (Edizioni Cento Autori, 2017), ‘Un tiro mancino’ (L’Erudita Editore, 2019), ‘La rivincita di Tommy. Una storia di bullismo omofobico’ (La Medusa Editrice, 2014) e ‘Ragazzi a rischio. Una nuova avventura per Tommy” (La Medusa Editrice, 2016). Gli ultimi due citati sono incentrati sul disagio giovanile.

Leggendo ‘Storie di guappi e femminielli’, si coglie la capacità giornalistica di Monica che parte da una ferrea e magistrale ‘raccolta dati’ che, se ben fatta, è il punto di partenza di uno scritto giornalistico di qualità. Se questa capacità  viene spostata in un saggio, in uno scritto o altro, e il tutto si sposi con note di commento e di interpretazione, brillanti e coinvolgenti, come accade con Monica Florio e il suo testo, si coglierà il centro dell’interesse e del successo editoriale.

Per dare idea compiuta di quanto scritto mi basterà citare Selvaggia Lucarelli che,  scrivendo su ‘Io sono Giorgia’, dove Giorgia Meloni   racconta che sua madre stava pensando di abortire, salvo poi cambiare idea all’ultimo momento, scrive cose inesatte.

La Lucarelli trovava che quando la madre di Giorgia Meloni era incinta  la legge sull’aborto non esisteva, osservando che nel 1976, anno di nascita dell’ex Ministro per la Gioventù, l’aborto fosse una pratica illegale.

Niente di più falso dato che è dal febbraio del 1975 che l’aborto non è più un reato. Infatti, la Corte Costituzionale, con la Sentenza 27/1975, aveva espressamente sancito che non potessero andare incontro a conseguenze penali coloro che procuravano l’aborto e le donne che vi consentivano.  Dopo questa sentenza che depenalizza l’aborto e lo rende una pratica legale, che non poteva portare dunque più ad alcuna conseguenza sanzionatoria, arriva la legge 194 del 1978, che regolamenta l’interruzione di gravidanza, ne disciplina i contorni e riempie il vuoto normativo che con la sentenza del 1975 nell’ordinamento si era venuto a creare. Non era reato, non lo era più da tempo.

La Lucarelli era ‘disinformata’ visto che la ‘raccolta dati’ era incompleta e malevola,  autentico ‘peccato mortale’ di scrittura per chi pratica il mestiere di giornalista.

Tornando allo scritto di Monica Florio parliamo di un percorso letterario posto nell’angolazione dell’analisi e della ricostruzione. Partiamo dal ‘guappo’ e dal punto in cui la Florio lo descrive risalendo al poemetto ‘E ddoie Madonne’ di Ferdinando Russo dove viene descritto il duello mortale tra due guappi volto a decretare la supremazia delle Vergini cui sono devoti, ovvero l’Immacolata e la Madonna del Carmine. Da notare il matrimonio ‘profano’, esistente ancora oggi,  tra religione e ‘malavita’. Non sarà difficile ricordare quando l’Arcivescovo di Napoli del tempo, Crescenzio Sepe poneva il problema dei   malavitosi che  partecipavano ai Sacramenti, come  fare i padrini dei battesimi, alle cresime, ai matrimoni. Pose un forte divieto ricevendo anche una lettera scritta da un boss dei Quartieri Spagnoli, da poco uscito dal carcere, che si opponeva a quanto stabilito da Sepe.

Si ricorda poi che si deve proprio a guappi e camorristi la celebrazione della ‘festa del Monacone’, avente luogo ancora oggi nel Quartiere della Sanità.

Il guappo, viene spiegato,  è un malvivente che discende dai compagnoni, banditi che infestarono il Regno delle due Sicilie alla fine del 1400. In quanto estranei ad ogni setta, i compagnoni rappresentarono una vera e propria piaga al punto da costringere il viceré Pedro de Toledo a emanare nel 1533 un editto che li puniva con la pena di morte per le malefatte compiute: saccheggi, incendi, tumulti popolari, nonché il frequente reato del capear, ossia il furto della cappa. In un classico come “Il Decamerone” Boccaccio descrive la vita notturna di Napoli, in cui scoppiavano frequenti tumulti ad opera dei famigerati compagnoni. Spettava ai famigliari di corte il compito di mantenere l’ordine nelle stradine immerse al calare della notte bel buio completo.

Viene demarcato nello scritto la differenza di fondo che esiste tra un guappo e un camorrista. Il camorrista si serve  dell’omicidio come mezzo privilegiato per risolvere i contrasti. I guappi risolvevano i contrasti attraverso il coltello, e non era una realtà esclusivamente napoletana. Ricordiamo, ad esempio, ‘Er più’,  Nino Petroni,  giovane pescivendolo, del rione Borgo di Roma,  personaggio più popolare e al tempo stesso più temuto del quartiere,  fidanzato con la bella Rosa Turbine.  Uscito di prigione, dov’era finito per una rissa, si trova alle prese con un rivale, Augustarello (fratello di Bartolo detto ‘Er Più’ del rione San Giovanni) il quale va da tempo corteggiando la ragazza. Er Più, è una storia d’amore e di coltello, con due guappi che appartengono a due diversi quartieri, con la presenza di un usuraio, che è anche uno spione. E’ una trama che potrebbe essere ambientata a Napoli, a Roma oppure a Palermo. Viene mostrato anche il lato buono, seppur sporadico, del guappo che interviene contro le storture, rappresentato dal prestito del danaro ad usura. Cosa, forse vera, un tempo, ma non oggi visto che la camorra attraverso il prestito si impadronisce delle attività utili per azioni di riciclaggio.

Come non ricordare ‘Cavalleria Rusticana’ di Pietro Mascagni, con compare Turiddu e l’avversario,  dove il tutto si svolge e si conclude con un duello all’arma bianca e con una morte.

I duelli fatti con i rasoi, come avviene nei ‘Guappi’, dove Fabio Testi interpreta ‘Core e fierro’. Presente nel film anche una ‘Coppola Rossa’, tratto  identificativo di un codice comportamentale fuori dalle regole.

C’è da segnalare che il controllo del mercato ortofrutticolo da parte dei camorristi, o meglio, delle ‘famiglie mafiose e camorristiche’ era presente anche nell’epoca dei guappi.

In conclusione, la Florio fa presente che, idealmente, il guappo era un uomo fermo e senza cedimenti, ostile a ogni manifestazione di tenerezza che reputava come una forma di debolezza e una minaccia alla sua virilità. Per questo motivo, quando si innamorava, viveva tale condizione con vergogna, quasi fosse una maledizione, anche se l’amata lo corrispondeva. Una situazione di questo tipo è riprodotta in ‘Guapparia’, canzone di stampo verista scritta nel 1914 da Libero Bovio e musicata da Rodolfo Falvo.

Monica Florio poi presenta ed esamina il ‘femminiello’ e la sua identità,  dove  ingloba e integra  il ‘femminile’, divenendo un ‘punto fisso’ nelle feste popolari che anima con danze e canzoni. Viene citato il pellegrinaggio della Candelora, che avviene il 2 febbraio di ogni anno presso il santuario di Montevergine, nei dintorni di Avellino. E’ una festa globale snodata in tutto il territorio con balli, pasti, travestimenti  ed altro.

Si parla nel libro  anche della ‘figliata’ dove il femminiello mima un parto, con movimenti e lamenti, circondato da finti parenti che, intorno al letto, eseguono litanie, finché avviene il parto e viene mostrato un ‘bambolotto-priapo’,  con membro fortemente  eretto. Questo è  descritto anche da Curzio Malaparte nel romanzo ‘La Pelle’.

Viene presentata anche  la ‘Tombola vaiassa’, che nel periodo natalizio  è la spettacolarizzazione del gioco della tombola così come viene giocato nei ‘bassi’ napoletani. Il femminiello estrae i numeri dal panaro proclamandoli ad alta voce. Di solito non dice direttamente i numeri ma il loro significato secondo la smorfia napoletana. E qui sta il divertimento della tombolata: man mano che i numeri escono, il femminiello li associa creando una storia che si forma dalla casualità del sorteggio e dalla sua fantasia.

La tombola vaiassa, tombola dei femminielli napoletani,  termina il 6 gennaio. Oggi si   è adeguata ai tempi diventando anche  online.

Si gioca ognuno davanti al proprio computer, smartphone o tablet ma di fatto la condivisone dello schermo e il carisma del femminiello riescono a realizzare una magia unica.

La specialità di questa tombola è che non si tratta di una semplice visione ma di un vero e proprio gioco spettacolo interattivo dove i giocatori, collegati da ogni parte del mondo, se vogliono, possono fornire il proprio contributo: non  mancano collegamenti da tutta Europa e persino dall’Australia, che  aggiungono un pizzico di internazionalità alla tumbulella.

Voglio chiudere l’articolo, centrato sul vicolo e sui femminielli,  citando il drammaturgo Enzo Moscato che negli anni ’80 ha utilizzato in  ‘Scannasurice’ il personaggio di un femminiello come simbolo della globalizzazione della cultura napoletana. ‘Io sono nato e vissuto fino a 10 anni sui quartieri spagnoli. Da bambino ricordo che arrivavano sti femminielli arrivavano nei vicoli e come campavano? Di certo non campavano come hanno fatto poi nei decenni successivi, prostituendosi, facendo i travestiti oppure le tombole nelle case. Qualcuno poi finì pure col fare l’attore di varietà e via discorrendo… e questi no, facevano proprio teatro di strada. Io me lo ricordo questo fatto. E facevano la riffa con i panarielli e noi bambini vedendo questi individui strani mostruosi, perché erano maschi e femmine contemporaneamente non è che si travestissero però si agghindavano oltre che essere espressivamente più sul lato femminile che maschile e poi giocavano col vicolo, con i bambini, e quindi questa è stata la prima forma teatrale a cui ho assistito e poi riflettendoci sopra poi tutti gli elementi si compongono e quella era un’immagine antropologica per certi versi ma contemporaneamente anche teatrale perché per Napoli non si può scindere l’antropologia, la sociologia dalla teatralità’, osservava Enzo Moscato. 

Roberto Cristiano

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