Una veduta di Palazzo Chigi dove è in corso un nuovo vertice di governo sul testo del decreto di Agosto, Roma 6 agosto 2020. MAURIZIO BRAMBATTI/ANSA

Stipendi pubblici, salta il tetto: polemica tra partiti e Governo

Scoppia il caso all’improvviso tra il Governo e i partiti che si rimpallano la responsabilità per la cancellazione del tetto di 240mila euro sullo stipendio dei manager della Pubblica amministrazione. Il decreto da 17 miliardi di euro contenente misure a sostegno di famiglie e imprese, dalle modifiche al Superbonus al taglio delle bollette, era appena uscito dallo stallo in cui si era impantanato da settimane grazie all’approvazione al Senato, quando da Palazzo Chigi è filtrato il “disappunto” per la norma che elimina il limite massimo agli stipendi pubblici.

L’emendamento sotto accusa prevede una deroga al tetto di 240mila euro per una serie di figure apicali delle forze armate e dei ministeri, per il quale è previsto “un trattamento economico accessorio”. Nello specifico rivolto a:

  • il capo della Polizia – direttore generale della Pubblica sicurezza;
  • il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri;
  • il comandante generale della Guardia di finanza;
  • il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap);
  • il capo di stato maggiore della Difesa;
  • i capi di stato maggiore di Forza armata;
  • il comandante del comando operativo di Vertice interforze;
  • il comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto;
  • i capi dipartimento della presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri;
  • il segretario generale della residenza del Consiglio dei ministri e i segretari generali dei ministeri.

Secondo quanto si apprende, la norma stabilisce che venga riconosciuto su proposta del Mef “un trattamento economico accessorio per ciascuno di importo determinato nel limite massimo delle disponibilità del fondo” per le esigenze indifferibili, che ha un dotazione annua di 25 milioni di euro.

Emendamento dal quale Palazzo Chigi prende le distanze in quanto potrebbe essere il primo passo per l’eliminazione del tetto anche ad altre categorie, esprimendo “disappunto” e comunicando che si tratterebbe di una “dinamica squisitamente parlamentare”, nato da un accordo tra forze politiche.

A dissociarsi dall’iniziativa è intervenuto però anche il Partito democratico che, tramite una nota delle capogruppo Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, comunica di “non condividere in alcun modo l’emendamento che elimina il tetto dei 240mila euro agli stipendi di una parte della dirigenza apicale della pubblica amministrazione. Pertanto presenteremo alla Camera un ordine del giorno impegnando il governo a modificare la norma e ripristinare il tetto nel primo provvedimento utile e cioè nel dl aiuti ter”.

Da quanto è emerso, il pasticcio sarebbe nato da una svista su un pacchetto di emendamenti che aveva ricevuto il parere favorevole del governo e che avrebbe contenuto anche quello incriminato.

La modifica al tetto degli stipendi presentata dal senatore di Forza Italia, Marco Perosino, sarebbe passata al ministero dell’Economia il quale però si smarca dalle accuse assicurando di avere fornito solo un contributo tecnico sulle coperture e che si tratterebbe comunque di un emendamento parlamentare per la cui attuazione è necessario un provvedimento successivo.

Sul caso è intervenuto su Facebook anche il leader di Italia Viva, Matteo Renzi: “Quello è un tetto che avevo messo io, oggi il governo ha fatto questa riformulazione e non avevamo alternativa che votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero 17 miliardi di aiuti alle famiglie”.

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