Dal 24 al 26 ottobre 2025, al Teatro Trastevere di Roma, è andato in scena “Sotto questo crollo”, il nuovo lavoro del Collettivo Lubitsch, scritto da Adriano Marenco e diretto da Simone Fraschetti. Dopo il successo de La favola nera del boia in tutù, la compagnia torna con un testo già pluripremiato, vincitore del Premio Letterario Nazionale La Clessidra e del Premio Internazionale Città di Castrovillari, e pubblicato nella collana teatrale Scena Muta.
Sul palco, tre figure: il Re del Crollo, interpretato da un magistrale Silvio Murari, Pep, portato in scena da Francesco Balbusso, e Coro, ruolo affidato a Nathalie Bernardi. Attorno a loro, una scena essenziale ma potentissima, sostenuta dalle luci e dall’audio curati con grande sensibilità da Andrea Lanzafame e catturata nelle sue atmosfere più intense dalle fotografie di Pamela Adinolfi.
La messa in scena è scarna, quasi scabrosa: pochi elementi, un albero di legni secchi e spezzati, abiti insieme pomposi e laceri, tutine grottesche. I cambi luce sono minimi, le musiche volutamente desuete, gli oggetti sembrano provenire da un aldilà kantoriano. Tutto contribuisce a creare un’atmosfera sospesa tra un futuro post-atomico e un medioevo rievocato, dove i sopravvissuti al crollo umano, civile e ideologico, si contendono un potere che non ha più senso.
Il linguaggio, asciutto ed essenziale, è devastante nella precisione dei suoi concetti. Sotto questo crollo è una tragedia scanzonata e ironica, quasi una rappresentazione medievale animata da giullari dalle maschere spaventose e ridicole, immerse in tempi di peste. Eppure, dietro il sarcasmo, emerge un’amarezza profonda: l’idea che la storia dell’uomo, anche dopo l’ennesimo disastro, non sappia reinventarsi, ma ripeta se stessa.
Silvio Murari offre un’interpretazione di altissimo livello: domina la scena con una presenza precisa e controllata, ogni gesto e ogni parola calibrati con rigore e intensità. Gli altri interpreti, Nathalie Bernardi e Francesco Balbusso, completano il quadro con bravura e sensibilità, rendendo il dialogo scenico una danza tragica di potere, ironia e disperazione.
Il testo di Adriano Marenco è davvero notevole: ogni frase appare perfetta, necessaria, scritta con una consapevolezza che colpisce. Le sue parole, asciutte ma poetiche, scavano nell’animo umano con lucidità e una punta di disincanto.
Si esce dal teatro con una sensazione limpida e inquietante insieme: quella consapevolezza che chiunque abbia un po’ di intelligenza sa già, forse da sempre, che il mondo non può cambiare davvero, perché l’animo umano continua a reiterare gli stessi gesti, le stesse dinamiche, le stesse crudeltà.
Una produzione di Collettivo Lubitsch che non consola, ma scuote. Un teatro che, sotto le macerie del mondo, trova ancora la forza di guardare l’orizzonte.
Barbara Lalle
ProgettoItaliaNews Piccoli dettagli, grandi notizie.


