“Sotto i cieli lontani. Alla ricerca di civiltà extraterrestri” di Graziano Chiaro

Che idea abbiamo dello spazio? È omogeneo e isotropo, come si tende a pensare? Quali proprietà eredita dai corpi che contiene e quali trasmette loro? Fino a che punto è un costrutto del pensiero e quanto un dato reale? Chi altri lo potrebbe abitare? Siamo quindi soli nell’universo? Affermazione che si regge su una mia convinzione personale, condivisa comunque da molti altri miei colleghi. Non siamo soli nell’universo, altre civiltà lo popolano, altri mondi, chissà fatti come, localizzati chissà dove, ma altre civiltà extraterrestri esistono anche se ci ritroviamo subito a fare i conti con il dove, con il quanto grande ossia con l’Universo e le sue dimensioni come contenitore di mondi. Quanto è grande l’Universo? Infinito? Oggi la scienza occidentale descrive l’universo come finito, racchiuso in uno spazio-temporale fra il Big Bang e un ipotetico Big Crunch. Il vincitore del premio Nobel 2020 per la fisica, Roger Penrose, ipotizza poi un grande “rimbalzo” da cui tutto possa ricominciare. L’ipotesi di Penrose apre un nuovo scenario ancora. Esiste, ricominciando, un solo sempre nuovo universo oppure esistono, degli ‘universi’? L’articolo determinativo ci porterebbe a percepire l’universo come uno. Si è quindi inclini a considerare l’infinito nella sua assolutezza e dunque nella sua unicità. Occupandoci di SETI non possiamo scartare queste ipotesi collegate alla molteplicità. Per farci un idea, se l’intero orizzonte cosmologico, cioè l’osservabile fosse contenuto in una sfera del diametro di una moneta, e se la teorie cosmologiche fossero corrette, l’universo che esiste oltre questo orizzonte sarebbe grande quanto l’intero globo terrestre.
Si sente dire che il raggio dell’universo misurerebbe esattamente la sua età, cioè 13,8 miliardi di anni luce. Ciò sarebbe vero se l’universo non fosse in continua espansione progressiva; i calcoli dei cosmologi ci potrebbero invece a definire un’ orizzonte cosmico che si trovi a circa 46 miliardi di anni luce, ma la velocità di espansione dell’Universo, in costante accelerazione, non permetterebbe alla luce degli oggetti che si trovino oltre una particolare distanza, nota come distanza di Hubble e fissata in 16 miliardi di anni luce di raggiungerci, poiché lo spazio si dilata più velocemente di quanto si propaghi luce, che di conseguenza non potrà mai raggiungere l’osservatore. Quale galassie, effettivamente, popolano l’Universo? E quindi quanti pianeti? Quanti mondi? E’ pensabile andare alla conta? L’Universo è, soprattutto, un immenso spazio quasi vuoto.

È impossibile conoscere l’esatta dimensione dell’universo. Non conoscendone la forma possiamo solo ipotizzarne la dimensione. Conosciamo solo le dimensioni dei quella piccola parte dell’universo visibile dalla Terra.

Qualche numero può meglio visualizzare lo scenario. Sistema solare, dimensione: 1 mese luce, Via Lattea 100.000 anni luce, dimensione media di un gruppo locale di galassie 10 milioni di anni luce, superammasso della Vergine 100 milioni di anni luce. Universo visibile 93.000 milioni di anni luce. Sono proprio questi i numeri che ci fanno capire che abbiamo appena messo fuori il naso dall’uscio di casa e che l’unicità della Terra e della razza umana sua ospite sia un concetto difficile da accettare. Abbiamo osservato galassie molto distanti ma con una conformazione definibile come “normale” ovvero simile a quelle presenti in regioni dello spazio più prossime a noi. La questione è faccenda dai grandi numeri e si può fare solo una stima approssimativa, un dimensionamento accettabile del paniere cosmico. Immaginare un universo dove il genere umano sia la sola fonte di intelligenza diventa difficile da accettare.

A che punto è la ricerca di vita extraterrestre?
Purtroppo in cento anni di ricerche sull’argomento civiltà extraterrestri ne sappiamo come il primo giorno, ossia nulla o quasi. È vero, cento anni rapportati ai tempi cosmici sono un nulla rispetto ai 14 miliardi di anni dell’universo. Solo dagli anni sessanta abbiamo capito che le frequenze radio potrebbero aver a che fare con gli extraterrestri. In questi anni trascorsi abbiamo formulato le ipotesi più incredibili, ma in realtà in mano non abbiamo che un pugno di mosche. Le domande rimangono sempre le stesse. Chi sono gli alieni? Come sono fatti? Come vivono? Ci stanno cercando? Nelle risposte, abbiamo detto il tutto ed il contrario di tutto. Non conoscendo la causa primaria ossia chi è l’alieno, fino ad oggi ci siamo concentrati su l’effetto atteso e comprovante: un loro segnale, le “tecnofirme” ovvero la caccia a segnali di qualsiasi tipo comunque non imputabili a ragioni astrofisiche, ad eventi cosmici, ma attribuibili ad interventi esterni, il frutto di produzioni “artificiali”. Per il momento stiamo sparando nel mucchio. Non che questo tipo di caccia non sia apprezzabile, ma vista la dimensione dell’universo affidarci alla “casualità” inevitabilmente porta a tempi biblici. Forse sarà per questo che le grandi agenzie di ricerca, NASA in primis, hanno deciso di tagliare i fondi inizialmente stanziati per il SETI. La probabilità di successo è troppo bassa per lo sforzo economico richiesto, anche se poi non parliamo di chissà che investimenti. Quanto costa un anno di radio SETI? Facendo un conto non proprio spannometrico e considerando l’utilizzo di un grande radiotelescopio non si supera il milione di euro all’anno. Oggi la ricerca vive grazie ai finanziamenti di mecenati che per passione o per convenienza fiscale sostengono progetti di ricerca. Con i fondi privati i team SETI più importanti riescono a comprare tempo ai radiotelescopi sparsi nel mondo e scandagliare così il cosmo nella speranza di captare un segnale che se confermato ci possa condurre in un cammino a ritroso fino alla causa ovvero al “produttore”. In mancanza di alterative, buona o cattiva questa è al momento l’unica strada percorribile. Strada potenzialmente interessante, ma ci lascia sicuramente un po’ di amaro in bocca. Ci piacerebbe incontrare per imparare, per una nostra vita migliore. Siamo macchine “intelligenti e sociali”, ecco perché ben vengano le tecnofirme, ma non ci bastano.

Lasciatemi citare di Dante Alighieri la grande terzina pronunciata da Ulisse al momento della fatidica scelta di oltrepassare i limiti del divino, rappresentato dalle colonne d’Ercole. Così egli si rivolse all’equipaggio della nave: “Considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.”

Sotto i cieli lontani. Alla ricerca di civiltà extraterrestri
Sotto i cieli lontani. Alla ricerca di civiltà extraterrestri
Chiaro, Graziano(Autore)
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Perché, ricercando ‘gli altri’, ci incaponiamo nel modello terrestre?
Quando ci siamo posti il quesito su “quale intelligenza cercare” non avendo alternative abbiamo preso come guida l’unico modello che conosciamo: il nostro, quello terrestre, e su questa ipotesi abbiamo costruito tutto quello che siamo stati capaci di immaginare sull’ intelligenza aliena. La storia dell’evoluzione umana ci ha guidato in quella direzione. Dopo l’origine della vita 3,8 miliardi di anni fa, si svilupparono le piante e gli animali, ma nessuna delle piante è stata poi in grado di produrre intelligenza evoluta. Nemmeno tra gli animali questo accadde, se non in un unico caso, quello dei mammiferi. Anzi, in una sola specie dei circa ventiquattro ordini di mammiferi che conosciamo l’alta intelligenza ha avuto origine, per una sola volta, negli esseri umani. L’improbabilità di una diffusione di intelligenza su larga scala trova giustificazione in quelle restanti circa trenta milioni di specie viventi, mammiferi o meno, che invece non sono riuscite a raggiungerla. In effetti, tutti gli altri tipi di organismi viventi, milioni di specie, vanno quotidianamente d’accordo tra loro senza il bisogno di un’intelligenza elevata. Che cosa differenzia l’uomo da altre intelligenze? La capacità di costruire strumenti fatti apposta per sopperire alle mancanze che l’uomo sente in determinate situazioni. Conosciamo forme di vita che si estendono oltre la nostra specie che si sono adattati fisicamente all’ambiente, ma sono soggetti coscienti? Se limitiamo l’ “intelligenza” alla capacità di percepire i cambiamenti dell’ambiente esterno e di retroagire nella maniera più adeguata possibile, potremmo dire che le piante percepiscono e retroagiscono, dunque sono “intelligenti”. Alla stessa stregua, è “intelligente” perfino una muffa: il Phisarum polycephalum è un organismo unicellulare che sa trovare la strada più breve per raggiungere il suo cibo favorito, l’avena, in un labirinto. Un esperimento condotto sul Phisarum ha mostrato che questa muffa sa fare una cosa molto complessa. In un esperimento sono stati disposti attorno chicchi di avena collocati nella stessa posizione in cui si trovano i villaggi attorno a Tokyo rispetto al centro città, la muffa nel raggiungere i chicchi di avena replica il medesimo percorso della metropolitana. Sono stati necessari decine di ingegneri e soprattutto complessi algoritmi per giungere al medesimo risultato. Sappiamo che un certo grado di intelligenza si trova solo tra gli animali a sangue caldo, ecco perchè i serpenti non sono stati fortunati. Potremmo ipotizzare mondi governati da api, polipi, cani, dei delfini. I delfini, con la loro socievolezza, la loro capacità di comunicazione e la loro giocosità, sono ampiamente considerati come la seconda specie più intelligente tra tutti gli animali dopo gli esseri umani. Animali sufficientemente Intelligenti? A quanto ci risulta qui sulla Terra nè le piante, né i delfini non sono mai state in grado di costruire un radiotelescopio e di conseguenza diffondere segnali nel cosmo. Nessuna altra specie se non l’uomo è in grado di fare ciò quindi il modello umano, fino ad oggi, si rivela la scelta migliore possibile.

Che rilevanza assumono gli esopianeti nella ricerca SETI?
Se il modello di vita che viene adottato nella ricerca SETI è il modello umano, ovverosia, un corpo che respira, cresce, si sviluppa, si riproduce e poi muore, abbiamo bisogno di un luogo il cui ambiente non sia drastico, un ambiente che contenga certamente acqua, quindi mari o oceani, ma anche terre emerse dove la vita, come occorso sulla Terra, possa svilupparsi ed esprimersi. In pratica ci serve un altro pianeta. Ecco che, allora, la scienza degli esopianeti, diventa la prima alleata strategica della ricerca SETI. Ad oggi, gli ultimi dati NASA ci dicono della esistenza di 5523 esopianeti e di altri 10.080 candidati, suddivisi in 4284 sistemi planetari rilevati. Ciò significa che qualche sistema contiene più di un pianeta. I più interessanti sono le super terre con massa compresa tra 2 e 10 masse terrestri e infine i pianeti terrestri con massa fino a 2 volte la massa della Terra. Le super terre sono circa 1600 e rappresentano la prima scelta del SETI grazie al loro nucleo roccioso e caratteristiche generali che rendono questi pianeti simili alla Terra. L’esopianeta più distante, fino a oggi rilevato, è a 17.000 anni luce quindi ben lontano dal sistema solare, non propriamente due passi fuori l’uscio di casa, e non dimentichiamo che le dimensioni della Via Lattea superano i 100.000 anni luce.

Qualora ci fosse un contatto con una civiltà aliena, potremmo dialogare con loro? Quali problemi pone la post detection?
Siamo pronti ad entrare in contatto con una civiltà extraterrestre? In Scozia, alla St. Andrew University, l’amico John Elliott sta dando respiro ad un progetto internazionale chiamato Post Detection Hub che si interroga proprio sul tema di un incontro con civiltà extraterrestri. La questione merita sicura attenzione, anche se, da ricercatore SETI, penso che difficilmente avremo questo problema. In un raggio di 1000 anni luce dalla Terra abbiamo puntato i nostri radiotelescopi più di una volta verso quelle centinaia di esopianeti che potrebbero avere le condizioni morfologiche ed ambientali tali da poterli ipotizzare non solo come ambienti favorevoli alla vita, ma capaci di ospitare od aver ospitato civiltà evolute. Magari altri pianeti, sono ancora sconosciuti, ma ad oggi con tutti i nostri bravi telescopi spaziali osservando appena fuori l’uscio di casa, abbiamo ricavato solamente petabytes di rumore di fondo. Se noi terrestri siamo soli entro i 1000 anni luce, un niente rispetto alle dimensioni del cosmo, qualcuno ci potrebbe essere più lontano, oltre tale distanza, ma questo significherebbe che tra il ricevere, il decodificare ed il rispondere ci saremmo mangiati, ragionando in tempi terrestri, non meno di tre, più facilmente quattro millenni. Ora, il fatto di sapere che a 2.000 anni luce o più c’è un’altra civiltà, amica o nemica che sia, non è che mi faccia tremare i polsi più di tanto. Accettiamo comunque l’ipotesi di un contatto/incontro con un’altra civiltà. Vi sono subito almeno quattro livelli di problema da affrontare. Quali le conseguenze immediate (es. nel primo mese) al rilevamento? Vogliamo rispondere e se sì che rispondiamo? Quali conseguenze potrebbero insorgere sul medio/lungo termine? e non ultimo: Chi pilota le operazioni? Già al primo rilevamento di segnale la faccenda si complica perchè una prima detection deve necessariamente passare attraverso conferme incrociate e quindi non solo le prime orecchie ma il coinvolgimento di centri d’ascolto sparsi nel mondo. A chi, quindi, la paternità della scoperta? A chi il titolo di Cristoforo Colombo cosmico? Poniamo il caso che i cinesi, grazie al loro gigantesco FAST captino il primo segnale. Questo significa che il SETI diventa un “chinese business only”? Inoltre, la scienza deve diffondere subito la notizia alla popolazione oppure è lecito tenerla segreta, magari in attesa di un loro secondo segnale di conferma? Facile intuire le discussioni non solo scientifiche, ma anche politiche che potrebbero nascere. Non esiste alcuna legislazione in merito, tantomeno protocolli di intesa internazionali. Ognuno fa un po’ a modo suo. La crescita della competizione nella space economy, la moltiplicazione delle attività spaziali in genere sta portando all’emergere di nuove minacce e ad un progressivo tentativo di militarizzazione dello spazio. I militari sicuramente entrerebbero in gioco qualora vi fosse conferma dell’esistenza di una civiltà aliena. Quali minacce per il pianeta? Le grandi potenze già si agitano e la dipendenza della supremazia militare dalle capacità di dominio dello spazio è cresciuta esponenzialmente con gli sviluppi tecnologici. Non dimentichiamo che l’ex presidente USA, Donald Trump, durante la sua prima presidenza ha istituito un corpo militare speciale, dedicato alle guerre nello spazio: la Space Force che rappresenta la prima forza militare istituita negli Stati Uniti negli ultimi 72 anni; farà capo alla Us Air Force conterà, a pieno organico, circa 16.000 persone tra militari e civili. Non ci risulta che con il cambio di presidenza, da Trump a Biden, questa “forza spaziale” sia stata soppressa. E se a rilevare il segnale per primi fossero invece gli scienziati della Corea del Nord? Kim Jon Gun accetterebbe quanto deciso dall’ONU? Possiamo inoltre facilmente immaginare, relativamente ai contenuti di una risposta della Terra ad ET quale sia la posta in gioco. Rispondiamo oppure no? Non sappiamo se ET ha buone o cattive intenzioni. E se fossero cattive? È meglio restare abbottonati oppure non rispondere sarebbe una scortesia cosmica? Il SETI Post Detection Hub della St. Andrew University in Scozia è un lodevole progetto che mira proprio alla pianificazione del da farsi a seguito di una conferma SETI stabilendo valutazioni d’impatto, protocolli, procedure e trattati progettati per consentire all’umanità di rispondere in modo responsabile. Tuttavia una civiltà aliena potrebbe sentirsi per nulla interessata ad incontrare noi terrestri! La biochimica e l’ambiente terrestre potrebbero rivelarsi non compatibili con la loro struttura. ET potrebbe non essere particolarmente entusiasta dell’idea di viaggiare tra le stelle per avvicinarsi ad una specie sicuramente tecnologicamente meno sviluppata della loro visto che noi oggi riusciamo appena a mettere il naso fuori casa. Per intenderci, immaginate, il senso che avrebbe per noi andare a visitare un nido di formiche lontano anni luce? Nessuno. In questo caso le formiche siamo noi. Perchè dovrebbe farlo ET? Ciò potrebbe spiegare perché non abbiamo mai avuto visite extraterrestri e difficilmente ne avremo: sono semplicemente felici dove sono, a casa loro.

Graziano Chiaro è un astrofisico dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano. Le sue ricerche sono orientate sui nuclei galattici attivi e le alte energie del cosmo. Ha operato alla NASA e presso l’Università di Stanford. Attualmente la sua ricerca primaria è orientata verso esopianeti abitabili e la detection di segnali tecnologici prodotti da civiltà intelligenti extraterrestri. Su questi temi è autore di numerose pubblicazioni scientifiche ed articoli su riviste nazionali ed internazionali.

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