Il mare Mediterraneo è stato in questi anni una delle principali vie di fuga dagli orrori delle guerre e delle catastrofi naturali, dei conflitti tribali e delle persecuzioni religiose, etniche e politiche, delle carestie e delle pandemie. Una via di fuga dove trafficanti di esseri umani, mercanti di schiavi e truppe mercenarie, hanno imperversato vendendo e comprando uomini, donne e bambini, sequestrando ed estorcendo, seviziando e torturando, dal deserto del Sahel ai campi di detenzione in Libia fino alle acque, dove le milizie affondano le barche dei profughi e sparano sui naufraghi.

Le stragi del mare saranno ricordate come una colpa imperdonabile, perché potevano essere evitate.

Nel tentativo di ridurre il danno otto organizzazione non governative (Sea Watch, Proactiva Open Arms, Medici senza frontiere. Mediterranea – Saving Humans, Sos Mediterranée, Emergency e ResQ) hanno dato vita a un Comitato per il diritto al soccorso al quale hanno aderito anche Aita Mari e Sea Eye. A far parte del comitato Luigi Manconi, il giurista Luigi Ferrajoli,  Vittorio Alessandro, Francesca De Vittor, Paola Gaeta. Federica Resta, Armando Spataro, Sandro Veronesi e Vladimiro Zagrebelsky.

Due, principalmente, i compiti che i garanti sono chiamati a svolgere: ricostruire canali di comunicazione con le autorità, sia italiane che europee, e aiutare le ong a far capire all’opinione pubblica che il soccorso in mare non è solo un obbligo, ma anche un diritto. La speranza è di riuscire a ricreare un rapporto di collaborazione con le autorità competenti, a partire dai ministeri dell’Interno e dei Trasporti, in modo da meglio coordinare gli interventi in mare. Cosa che non rappresenterebbe certo una novità, visto che solo fino a qualche anno fa la era la stessa Guardia costiera a indicare alle navi delle ong le situazioni di pericolo chiedendo il loro intervento.

Da sempre l’accorrere in aiuto, il prestare soccorso, l’offrire salvezza, è stato considerato sentimento naturale e legge universale, principio assoluto e diritto-dovere fondamentale. Il mutuo soccorso è stato il primo legame sociale e la base della reciprocità nelle relazioni tra gli esseri umani. Il mutuo soccorso costituisce il passaggio da individuo a soggetto sociale, a membro di una comunità. Da qui nasce il diritto al soccorso come istanza primaria di tutela della vita nelle costituzioni e nelle convenzioni internazionali e quale fondamento di tutti gli altri diritti.

La protezione delle frontiere meridionali dell’Europa diventa il valore supremo, in nome del quale si arriva a sospendere quello che si pensava fosse un diritto irrinunciabile. Il soccorso in mare viene assimilato a un’attività criminale da interdire, contrastare, penalizzare. E così quelle stesse istituzioni italiane – che avevano svolto un ruolo significativo nel promuovere l’operazione detta Mare Nostrum – hanno adottato una politica decisamente opposta. Con ciò hanno contraddetto consolidate norme internazionali che affidano proprio agli Stati costieri il compito di assicurare un efficace coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio. È questo vuoto di iniziativa da parte degli Stati e delle loro strutture che ha reso indispensabile l’intervento delle Ong del soccorso in mare.

Oggi esse sono il bersaglio di questa  involuzione del diritto e di questa abiura dei principi fondamentali della civiltà giuridica. Ormai, dal 2016, si trovano al centro di un’aggressiva campagna di delegittimazione. Di fronte alle più pesanti accuse, fino a quella di avere operato in diretta complicità con i trafficanti e a quella di incentivare con la loro presenza le partenze dalla Libia, hanno risposto argomentando le ragioni unicamente umanitarie della loro attività. L’ostilità verso le Ong si è manifestata attraverso una serie di provvedimenti da parte delle autorità italiane, spesso in collaborazione con altri stati membri UE e con le istituzioni europee.

Le Ong si sono trovate costrette a difendere le stesse ragioni della propria esistenza e impossibilitate a negoziare con le autorità italiane un proprio spazio d’azione. Questo ha indotto le Ong che operano in mare –Open Arms, Sea Watch, Mediterranea, Sos Méditerranée, Medici Senza Frontiere, Emergency, ResQ – a promuovere un Comitato per il diritto al soccorso, che svolga una funzione di ‘tutela morale’ dell’attività di salvataggio e un’opera di difesa giuridica informata e autorevole. E che contribuisca al formarsi, nell’opinione pubblica italiana ed europea, di un costante orientamento di sostegno all’attività di salvataggio in mare, che solleciti e accompagni il ripristino di un efficace sistema istituzionale di ricerca e soccorso.

Un sistema che veda coinvolti quanti operano nel Mediterraneo, navi mercantili e pescherecci compresi, insieme alle imbarcazioni delle Ong e a quelle della guardia costiera, nella prospettiva che siano gli Stati e le loro strutture – come vuole il diritto internazionale – ad assumere interamente quel compito. E ciò al fine di affermare, ancora una volta, il senso di una condivisa responsabilità universale che fonda il diritto al soccorso e l’intero sistema dei diritti umani.