‘Sei personaggi in cerca d’autore’ in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 18 febbraio

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Roberto Staglianò la sua recensione su ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 18 febbraio. 

 

Un lungo, caloroso applauso alla prima  ha salutato ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ e la compagnia di diciassette formidabili attori, diretti da Luca De Fusco, andranno in scena fino al 18 febbraio al Teatro Argentina di Roma. La produzione, pertanto, vede riuniti tra loro il Teatro Stabile di Napoli diretto dallo stesso De Fusco, il Teatro Nazionale e il Teatro Stabile di Genova. Sparsi tra i palchi e la platea, c’erano frotte di adolescenti, liceali vestiti a modo e curati. Gli uni indicavano gli altri e gesticolavano con le mane facendo il segno del cuore, unendo le loro dita indice e pollice. Per alcuni di essi sarà stata la loro prima volta al Teatro, forse. La loro presenza casuale non è irrilevante. Come verrà rielaborata ed interiorizzata la loro esperienza: un testo scritto in forma di piccola tesi, un tema? Potrà essere una reale necessità la loro o l’imposizione dettata da qualche professore.

Sono passati 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel 1934, e la sua opera, i suoi ‘Sei Personaggi’ continuano a vivere raccontando la loro storia, attraversando generazioni diverse ed epoche storiche, parlando al cuore delle persone e mettendo in confronto i loro vissuti. Questo è il potere e la magia del teatro che è insieme spazio di riflessione e giardino pedagogico dove coltivare e far crescere quell’umanità che collega simbolicamente i primi del ‘900 con i Baby Boomer della Next Generation, i Millenials. Il luogo dove si realizza ‘il giuoco delle parti’, quella costante ricerca nel trovare un valore autentico e universale, dove tutto può essere messo in discussione e analizzato, interpretato e condiviso. Mai senza un contesto però, come ci suggerisce Pirandello, è necessario avere un copione e un autore.

E quel linguaggio, quel codice che potrebbe sembrare primitivo in confronto ai social media, riesce ancora a comunicare l’essenza, la tensione emotiva di un dramma? Riesce ancora ad innescare un rito comunitario, un processo di trasformazione individuale indagando nei contenuti di un inconscio collettivo? Riesce ancora a mettere in rilievo l’esistenza di caratteri ancestrali e a far emergere successivamente il bisogno umano di convergere e aderire negli archetipi o divergere da quei contenuti? Non è facile trovare queste risposte perché appartengono alla sfera a meccanismi e processi individuali, quello però che è utile mettere in relazione è che, questa indagine e queste riflessioni ci permettono di comprendere meglio le acute intuizioni e le conseguenti scelte della regia di Luigi De Fusco.

Come riproporre un classico, quella che è una tra le opere più rappresentative del Novecento e che, proprio perché ruppe gli schemi, la prima volta che venne rappresentata per la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma, ad opera della Compagnia di Dario Niccodemi? Mantenendo una assoluta fedeltà al testo originale, i sei personaggi irrompono in scena come figure spettrali, vestiti a lutto, evocando suggestioni macabre e noir. Sono dapprima figure video-proiettate con un gioco efficace e accattivante, le proporzioni sono gigantesche, gli sguardi sono cupi, funerei. Sei personaggi che come fantasmi fuoriescono dallo schermo cinematografico di un sogno, di un torpore collettivo per sostituirsi agli attori di una compagnia teatrale. Come in una sorta di pena da scontare, di giogo a cui nessuno di quei sei può sottrarsi sono costretti a rivivere la loro storia. Nessuno può fuggire, né il Padre, né la Madre vedova, né tantomeno il Figlio e la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina.

De Fusco con la sua regia realizza la perfetta combinazione tra il verticale del Teatro e l’orizzontale del linguaggio cinematografico, tra la parola e l’immagine, il pensiero critico e la dimensione onirica realizzata mediante riprese, inquadrature e primi piani, il corpo e l’ologramma proprio perché ogni singolo elemento non potrebbe esistere se non in relazione con tutti gli altri, come i ‘Sei personaggi’, appunto    Incentrata sull’autonomia del personaggio, nell’opera pirandelliana quei sei individui  pretendono una vita vera, battibeccano con il Direttore di Scena il quale non può accettare che venga sovvertito quell’ordine armonico con cui ha sempre lavorato, fissando in uno schema freddo e rigido l’arte. Loro pretendono di venirne fuori, di superare quella linea di confine tra vero e verosimile. La loro è la tragedia dell’orrore, ma anche dell’incomprensione, dell’impossibilità di comunicare e di esprimersi. I sei personaggi non sono abili alla salvezza e rivivono in un meccanismo di eterna successione la povertà, il tradimento, la prostituzione, il suicidio, lo sdegno, la vergogna, il rimorso e il dolore della dannazione senza mai toccare il fondo. Tutto questo lo spettatore può viverlo direttamente anche con una scenografia essenziale, soprattutto perché lo spessore degli attori è notevole, il livello artistico è molto alto.

Eros Pagni è un mito senza tempo  il vero Direttore che riesce a dare movimento e direzione con la sua voce e la sua presenza scenica. Gaia Aprea, la Figliastra, è il suo Alter Ego. Precisa nella sua interpretazione aumentando sempre in autenticità. Gianluca Musiu è perfetto nel dare le giuste caratterizzazioni fisiche e la giusta intensità al personaggio del Figlio così come Maria Basile Scarpetta è struggente nel ruolo di Madre vedova che vive una serie a catena di lutti. Bravissimi i due giovani attori nel ruolo silenzioso della Bambina e del Giovinetto e tutta la compagnia: Angela Pagano  Paolo Serra, Federica Sandrini, Giacinto Palmarini, Alessandra Pacifico Griffini, Paolo Cresta, Enzo Turrin, Ivano Schiavi e gli allievi della Scuola del Teatro Stabile di Napoli Alessandro Balletta, Sara Guardascione  e Dario Rea.

Foto di Fabio Donato

Roberto Staglianò

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