Scompare Alain Resnais

Il regista francese Alain Resnais é morto ieri sera a Parigi all’età di 91 anni. Resnais fu uno degli ispiratori teorici della Nouvelle Vague, di cui fu sempre punto di riferimento, pur non aderendovi mai ufficialmente. Alla fine degli anni cinquanta la Francia vive una profonda crisi politica, contraddistinta dai sussulti della guerra fredda e dai contrasti della guerra d’Algeria; il cinema francese tradizionale del tempo assunse una connotazione quasi documentaristica nel testimoniare questa crisi interna ed i film diventarono mezzi attraverso i quali rifondare una sorta di morale nazionale. Proprio la tendenza idealistica e moralizzante facevano di questo cinema qualcosa di totalmente distaccato dalla realtà quotidiana delle strade francesi. Fuori dalle finestre c’era una nuova generazione che stava cambiando, che parlava, amava, lavorava, faceva politica in modo diverso ed inconsueto. Una nuova generazione che esigeva un cinema in grado di rispecchiare fedelmente questo nuovo modo di vivere. Così questa nuova gioventù, designata dai giornali come “Nouvelle Vague”, si ritrova in sincronia con una nuova idea di cinema che è il primo movimento cinematografico a testimoniare in tempo reale l’immediatezza del divenire, visto nella realtà in cui esso stesso prende vita. I film che ne fanno parte sono girati con mezzi di fortuna, nelle strade, in appartamenti, ma proprio per la loro singolarità hanno la sincerità di un diario intimo di una generazione nuova, disinvolta ed inquieta. A quattordici anni Resnais gira il suo primo cortometraggio. Successivamente si trasferisce a Parigi dove esordisce nel lungometraggio di fiction con “Hiroshima mon amor”, sceneggiato da Marguerite Duras. I film successivi sono segnati da un forte impegno politico e da una criptica ed affascinante riflessione sui rapporti tra autore ed universo letterario. L’interesse per i temi psicologici ritorna in “Mio zio d’America”, curioso film-saggio che espone le teorie del fisiologo Henri Laborit sui meccanismi di difesa del cervello. Questi erano stati letterariamente espressi da Laborit in “Elogio della fuga”. Il regista si concentra poi sulla messa in scena di complessi congegni narrativi in cui si intrecciano diversi piani temporali e differenti generi cinematografici. L’opera di Alain Resnais rimette in causa i codici della narrazione cinematografica tradizionale perché abolisce il racconto a intrigo per esplorare le combinazioni narrative, esplorando le analogie e le realtà aleatorie. Le costruzioni narrative fanno così incrociare diversi personaggi in universi volutamente artificiali e teatrali. La costruzione artificiale a anti-naturalistica del racconto permette al regista di indagare nei dettagli la condizione umana dei suoi personaggi che vengono studiati come animali in gabbia. A questa ricerca si aggiunge il minuzioso lavoro di montaggio sempre curato e supervisionato da Resnais. Il suo ultimo film, “Aimer, boire et chanter”, era stato molto bene accolto al festival del cinema di Berlino.
Roberto Cristiano

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