Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (s) e il ministro dell'Interno Matteo Salvini alla Camera durante l'esame del disegno di legge Anticorruzione, Roma, 21 Novembre 2018. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Salvini mette nel mirino il premier Conte

Il premier Conte nel mirino di Salvini. Dopo i duri attacchi a Toninelli e alla Trenta, il ministro dell’Interno avrebbe puntato il dito contro il presidente del Consiglio. Il leader del Carroccio – riferisce ‘La Stampa’ – non ha gradito l’ultima conferenza stampa dell’inquilino di Palazzo Chigi che ha smentito qualsiasi ‘rimpasto’ nel giro di poche ore. “Le parole di Conte ci lasciano esterrefatti“, questo il commento da parte degli esponenti del partito di via Bellerio che continuano a nutrire dubbi sulla parzialità del presidente del Consiglio. Una crisi che non spaventa il premier: “Ho un lavoro che mi aspetta – ha confidato al suo staff in questi giorni – e ci voglio tornare a testa alta“.

 Nelle ultime ore alcuni giornali hanno riportato la notizia di un incontro annullato tra il ministro dell’Interno Salvini e il presidente Mattarella. Vertice mai confermato dagli esponenti della Lega ma ‘La Stampa’ fa sapere che il vicepremier ha preferito rimandare il tutto quando la notizia è diventata pubblica. Le intenzioni del leader del Carroccio erano quelle di far rimanere l’incontro segreto. Salvini voleva esprimere al Capo dello Stato tutte le sue preoccupazioni e soprattutto l’intenzione di formare un Governo a trazione leghista. Pensieri che al Quirinale sono arrivati tramite il sottosegretario Giorgetti quando è salito al Colle per comunicare la sua rinuncia ad un posto a Bruxelles.

 Dopo i litigi degli ultimi giorni, il Governo sembra la classica ‘quiete prima della tempesta’. Il vertice di lunedì sull’Autonomia regionale potrebbe aprire un nuovo scontro tra M5s e Lega. E questa volta la spaccatura potrebbe essere definitiva perché Salvini non ha nessuna intenzione di ritornare indietro. E il leader della Lega aspetta anche l’audizione del premier Conte per il caso Russia mercoledì. Una settimana decisiva per il futuro di questo esecutivo con lo spettro delle elezioni che sembra essere sempre più incombente.

 Giorgia Meloni ha una gran voglia di misurarsi elettoralmente dopo il sonoro successo registrate alle elezioni europee di due mesi fa  non esclude di raggiungere quota 10 per cento indicata dai sondaggi come alla portata della destra italiana. La Meloni irrompe nella strisciante crisi di governo  e propone un’alternativa credibile allo stallo attuale e alla ricorrente tentazione rappresentata dal solito governo tecnico.

Se Conte dovesse mollare,  è il ragionamento affidato dalla leader di FdI al quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, sarebbe molto difficile per il presidente della Repubblica dire che gli italiani non devono scegliersi il prossimo governo. Per la Meloni i tempi per votare, fare un nuovo governo e aprire la sessione di bilancio ci sono. Ma quel che più interessa ai cittadini è che finalmente potrebbero contare su un governo che fa le cose e non litiga: ‘Tutti i sondaggi dicono che dalle urne uscirebbe una maggioranza chiara’, assicura la Meloni: ‘Sarebbe un’occasione storica per dare all’Italia uno dei pochissimi governi capaci di durare cinque anni: coeso, compatto e con numeri schiaccianti che può fare le cose coraggiose che servono’.

Conte aveva fatto sapere che, per rispetto al Parlamento  si sarebbe presentato in Aula, per riferire della ormai  questione dei presunti finanziamenti illeciti russi alla Lega. La presidente del Senato ha acconsento alla richiesta di Conte e ha fissato le comunicazioni del premier il 24 luglio.

 Salvini e la Lega diffidano di Conte ben più di quanto  diffidino di Di Maio. Ma se già solo l’intervento in aula del premier su un tema che sta mettendo a dura prova la pazienza come pure il futuro politico di Matteo Salvini ha fatto infuriare la Lega.  Prima la lettera – inviata a Repubblica,  in cui Conte accusava la Lega di aver fatto perdere all’Italia la chanche di un commissario Ue di peso, votando contro alla nuova presidente della Commissione, la quale, peraltro, i voti dei leghisti proprio non li voleva. Poi la difesa a spada tratta di “tutti i miei ministri” proprio nel giorno in cui Salvini chiedeva, per procedere al rimpasto di governo, le ‘teste’ di due ministri pentastellati finiti, da tempo, nel mirino del Carroccio: Toninelli (Infrastrutture), di fatto già mollato pure dai 5Stelle, e la Trenta (Difesa), che invece è rocciosamente difesa da Di Maio, da Conte, ma anche dal Quirinale, tre soggetti che la vedrebbero bene, peraltro, in Europa, al posto cui doveva andare Giorgetti.  Salvini  con i governatori del Nord,  tutti leghisti,   furibondi e in rivolta contro Conte e l’M5S,  sul tema  delle Autonomie.

E così viene fuori la notizia che anche il vicepremier vuole parlare, in aula del Senato, dopo aver ascoltato il discorso di Conte, ma facendolo dai banchi della Lega. Salvini si materializzerà in Senato,  si siederà nei banchi della Lega e deciderà il da farsi. Certo è che, quando scoccheranno le 16 e 30 di mercoledì, a palazzo Madama di certo, Salvini ruberà la scena al premier, ma non si sa cosa dirà: se dirà ‘stop’ al governo e aprirà la crisi o se andrà avanti come nulla fosse.te.

Salvini ripeteda giorni che “le finestre sono sempre aperte”, lasciando intendere che può far saltare il banco in ogni momento, staccando la spina a un esecutivo che non ama più, anche se una data ‘vera’, per le elezioni anticipate non c’è ancora.  Il pressing dei leghisti, militanti e parlamentari,  si fa sempre più forte e per Salvini ora è difficile tenerli a freno. La sola via d’uscita, per rimettere ‘pace’, sarebbe di ottenere anche solo un ministro in più e certificare la supremazia della Lega ottenuta alle elezioni. Poi avviare un Conte bis con tanto di fiducia alle Camere.

E se provocare la fine anticipata della legislatura, e senza neppure vedere approvato il decreto Sicurezza bis, che scade ai primi di agosto, e deve ancora passare alla Camera e, poi, al Senato, è un azzardo, è anche vero che, secondo i sondaggi, la Lega ha ancora un altissimo gradimento: 36% e anche di più, senza neanche un graffio per il Russiangate. Ma per continuare ad andare avanti la Lega ha bisogno di portare a casa le Autonomie e non con un’intesa al ribasso. Le parole del premier Conte, come si è visto, non sono piaciute né al vicepremier né ai governatori leghisti, saliti sulle barricate e che minacciano di non firmare l’intesa. Ma da via Bellerio si chiede a gran voce un’azione del Capitano anche a contrasto del ‘protagonismo’ troppo accentuato di Conte, venuto fuori, negli ultimi mesi, in Italia come in Ue.

 Mattarella  fa sapere, spalleggiato dal premier Conte, pur se in via informale, che se crisi dovrà essere la strada maestra è quella parlamentare, ovvero le dimissioni del premier con rinvio alle Camere per un voto di sfiducia. Se Salvini vuole la crisi se  ne deve assumere la responsabilità di fronte al Paese e motivarne le ragioni. Il Capo dello Stato, intenzionato a seguire la Costituzione alla lettera, chiederà una ‘parlamentarizzazione’ della crisi. Salvini si dovrebbe assumere la responsabilità della rottura. Infine, tra i desiderata che il Capo dello Stato ha già fatto recapitare c’è che, se non si voterà tra fine settembre e inizio ottobre, la seguente finestra elettorale si aprirebbe non prima di giugno 2020 e non certo prima, in primavera.

Questo per un motivo – come sempre è nelle considerazioni del Colle – ‘costituzionale’: dato che non vi è motivo per non credere che, a settembre, con il voto finale della Camera, verrà approvata in via definitiva la riforma Fraccaro, cioè la legge sulla riduzione dei parlamentari, ci vorranno poi parecchi mesi per farla entrare in vigore (i tre mesi per chiedere eventuale referendum e altri tre mesi per adeguare il nuovo numero dei parlamentari al Rosatellum). Insomma, è impossibile che la nuova legge che prevede 400 deputati e 200 senatori sia operativa per votare in primavera. Queste le considerazioni che si fanno al Colle. Il 24 luglio toccherà  solo a Salvini fare la scelta.

 

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