Pronte, soprattutto, a dare battaglia nel centrodestra per scardinare il progetto unitario del segretario del Carroccio che assomiglia – temono – a un’annessione. Le ambizioni di Salvini, d’altra parte, sono molto chiare: gestire un gruppone federato del 30%, in cui la Lega pesa per i tre quarti del consenso elettorale. Paradossalmente, Silvio Berlusconi preferirebbe dare semmai il via libera  a un partito unico, che gli consentirebbe di chiudere la carriera senza dovere più fare i conti con rapporti di forza sfavorevoli, ma tenendo a battesimo da fondatore un nuovo centrodestra.

E’ questo il contorno politico dell’incontro tra il presidente del Consiglio e Salvini. E poco importa se davvero – come sostiene il leghista – non si sia parlato della federazione. O se, invece, il numero uno della Lega non abbia indicato nelle dirigenti azzurre il primo freno al progetto unitario. Di certo, sono loro a esporsi pubblicamente nel pomeriggio. La prima è Maria Stella Gelmini: “Una decisione come quella di federarci con la Lega – sostiene la ministra degli Affari regionali – non può essere il frutto di un’operazione fulminea, ma deve essere discussa nel partito. Ho forti perplessità”.

Di più: “Penso che la storia, i valori e l’identità di FI vadano difesi e rilanciati, non annacquati in soggetti nuovi o in eventuali fusioni a freddo”. Anche Mara Carfagna picchia duro:  “Una federazione non si fa attraverso un blitz, perché i blitz si fanno quando si vuole nascondere qualcosa. Non vorrei fosse il sogno di chi vuole trasformare Forza Italia in Forza Lega. Nemmeno io ho capito cosa sia la federazione, nessuno me l’ha spiegato”.

E dire che il piano di Salvini era ben altro, alla vigilia. Lo aveva spiegato ai suoi dirigenti, riservatamente. Senza tenere in considerazione l’effetto deflagrante sugli equilibri della maggioranza – già attraversata dal perenne conflitto tra Lega e Partito democratico – intendeva comunicare al premier di avere in mano qualcosa che altri non hanno: numeri determinanti, da azionista di maggioranza della larga coalizione di unità nazionale.

Con il Movimento ridimensionato infatti da mille scissioni – e con un Pd che sconta in termini di seggi parlamentari lo scarno 17% delle Politiche 2018 – il leader della Lega intendeva far presente – anche se con “spirito di massima collaborazione” – le conseguenze del nuovo corso. E cioé che il patto tra Carroccio e FI consegna al regista dell’operazione – dunque a Salvini – la golden share politica dell’esecutivo. Grazie anche a gruppi parlamentari talmente folti da rendere la federazione il primo partner della maggioranza e, in prospettiva, il playmaker per l’elezione del nuovo capo dello Stato.

Finisce invece che al termine del colloquio è lo stesso Salvini a rimangiarsi il progetto, almeno in pubblico: “Abbiamo parlato della riforma del fisco – elenca – di come tagliare le tasse, della riforma della giustizia. Ho spiegato il senso dei referendum e di come raccoglieremo le firme. Di riforma della pubblica amministrazione, di scuola, immigrazione, Europa, banche, disabilità”. Da Palazzo Chigi, nel frattempo, si definisce l’incontro “cordiale” e si fa presente che nel corso del faccia a faccia si è discusso della situazione economica del Paese – “che è in ripresa” – e delle riforme.