Roma in Hope Campus per Transizione Digitale

Sembrerà strano, e forse apparentemente non politico, ma a Roma  uno slancio che nasca da una visione, da un’idea di come potrebbe essere la Città Eterna alla fine di questo secolo di Transizione.

Gli anni che stiamo attraversando, infatti, sono caratterizzati da profondi e sconvolgenti processi d’innovazione che stanno riscrivendo il modo con cui l’umano realizza le cose, soddisfa i suoi bisogni, inventa nuove e inesplorate forme di socialità e convivenza.  Insomma, serve uno sguardo che sappia andare “oltre” il dibattito sul “qui e ora” tutto schiacciato sulla pandemia e sulle sue immediate conseguenze.  Occorre, in altre parole, ridare un “senso” al vivere civile e quotidiano indicando un linea di marcia, un orizzonte verso il quale muoversi.

Le prospettive, che la grande Transizione Digitale indica in maniera chiara e definitiva, sono racchiuse all’interno dei territori della conoscenza, della raccolta di dati e informazioni, dalla capacità elaborativa, di estrazione di “senso”, di conoscenza, di informazione che questi dati possono dischiudere al fare umano. Per questo motivo i nuovi luoghi dello sviluppo partono dalla capacità di dotare il territorio di alcuni fattori strategici: fortissime capacità elaborative e di calcolo, forti connessioni con i bacini della conoscenza distribuiti nel mondo con cui scambiarsi dati, studi e ricerche, una capacità attrattiva di intelligenze umane, una struttura che sappia trasformare intuizioni, idee e capacità in aziende e prodotti innovativi. Tutto questo sarà il centro del nuovo modello di vita di fine secolo, un modello che dobbiamo cominciare a progettare fin da ora e in cui il ruolo progettuale del pubblico svolge un enorme ruolo, sia per la possibilità di muovere risorse dirette, sia per indirizzare e dare credibilità alle risorse private che possono essere attratte dai progetti che si ipotizzano e si concretizzano con le scelte oculate del pubblico.

Questo è il caso del progetto Hope Campus appena annunciato e che vede la possibilità di creare un vero e proprio “distretto della conoscenza” in sinergia tra il Demanio, rappresentato alla firma del protocollo dal Direttore dell’Agenzia Antonio Agostini e dal rettore dell’Università di Tor Vergata, Prof. Orazio Schillaci. Un esempio di come il pubblico possa co-progettare, con rapidità ed efficienza, interventi che abbiano un sapore strategico e che indichino la strada per gli investimenti privati. Quella che, un tempo, veniva chiamata “politica industriale”, la capacità di indicare un settore prioritario di sviluppo di interesse generale e di supportarlo con gli investimenti che sappiano risultare strategici per la sua realizzazione.

La città di Roma, alla vigilia di un appuntamento elettorale fondamentale per la sua rinascita, trova un asso nella manica da mettere sul tavolo di una nuova e innovativa idea per il suo prossimo futuro: da città della burocrazia a città della conoscenza, sede di un centro fondamentale di ricerca e innovazione che sappia coniugare la trasformazione digitale con la ricerca in ambito sanitario e la riduzione dell’impatto ambientale. Settori, questi, che necessitano di professionalità avanza nei campi innovativi del digitale, delle nuove forme di produzione di manifattura additiva, dell’intelligenza artificiale, della robotica e dei materiali innovativi. La vicinanza con i laboratori di Frascati, ove si portano avanti le ricerche di avanguardia sulle fonti energetiche del futuro, a partire dai rettori a fusione e dell’idrogeno, consentono di ipotizzare un salto di qualità per il ruolo della Città Eterna non solo per il nostro paese, ma per tutta l’Europa e il mondo. Hope Campus deve concretizzare, ora, le speranze che ha suscitato la sua presentazione ed essere una cartina di tornasole dei progetti che verranno presentati, da qui a qualche settimana, per affrontare la crisi di identità e gli squilibri sociali che l’attraversano.

Sergio Bellucci

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