Il 19 marzo, Roberto Benigni è tornato in televisione con lo spettacolo ‘Il sogno‘ per raccontare la storia dell’Europa. L’attore e regista premio Oscar ha virato sui valori fondanti dell’Ue, nata per garantire la pace nel continente dopo la Seconda guerra mondiale.
“La democrazia è nata qui in Europa, ne abbiamo fatte di belle cose noi europei, è giusto ricordarsi chi siamo, c’è da essere orgogliosi di essere europei, l’Europa, pur essendo il continente più piccolo del mondo ha acceso la miccia di tutte le rivoluzioni. Anche la libertà e la democrazia sono nate in Europa.
L’Europa non è stata solo cose belle: “Gareggiavamo anche per le cose più brutte, la guerra. A scuola solo guerre si studiavano, cento anni di guerra, nessuno si ricordava più perché era cominciata. Si ammazzavano e senza sapere perché, la storia d’Europa è tutta un conflitto, abbiamo passato secoli ad aggredire anche il resto del mondo. Le arti e la cultura sono state all’ombra della morte. Lo sport preferito di noi europei è la guerra. Ci siamo ammazzati fino alle due guerre mondiali. Cento milioni di persone sono morte”.
Il fulcro dello spettacolo è stato l’appassionato elogio dell’Europa e del progetto dell’Unione europea. Benigni si è definito un “europeista estremista”, affermando che l’Europa unita rappresenta “l’unica utopia ragionevole”. Ha descritto l’Ue come “la più grande istituzione degli ultimi 5mila anni realizzata sul pianeta Terra dall’essere umano, un progetto, un ideale, una speranza, una sfida, un sogno. Un caso unico nella storia dell’umanità. Ne abbiamo fatte di belle cose noi europei, è giusto ricordarsi chi siamo, c’è da essere orgogliosi di essere europei: l’Europa è il continente più piccolo del mondo che ha acceso la miccia di tutte le rivoluzioni; ha trasformato il pianeta, da tremila anni è la fucina dove sono stati forgiati alcuni fra i più grandi pensieri dell’ umanità, inventando la logica, la ragione, il dubbio”, e ancora “la libertà, la democrazia, il teatro lo sport, la chimica moderna, la coscienza di classe, spaccando l’atomo, dipingendo la Sistina. Un patrimonio comune, un tesoro immenso in tutti i campi”, ha detto in un passaggio del suo monologo.
C’è stato un forte pregresso in parlamento sul ‘Manifesto di Ventotene’, originariamente intitolato ‘Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto’, è un documento per la promozione dell’unità politica europea che risale al 1941. Scritto da Altiero Spinelli, Ernesto rossi ed Eugenio Colorni durante il periodo di confino presso l’isola di Ventotene, è considerato uno dei testi fondanti dell’Unione europea. Il manifesto lanciava l’idea di una federazione europea dotata di un parlamento e di un governo democratico con poteri reali in alcuni settori fondamentali, come economia e politica estera. Gli autori sostenevano che fosse necessario creare una forza politica esterna ai partiti tradizionali, inevitabilmente legati alla lotta politica nazionale.Questa forza politica nacque poco dopo, nell’agosto del 1943, il Movimento Federalista Europeo.
Benigni ha ricordato il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, definendoli “tre eroi” che, in un periodo di distruzione e morte, ebbero la visione di un’Europa unita e pacifica. Ha narrato come, su una piccola isola del Tirreno, questi uomini abbiano concepito l’idea dell’unità europea, pensando al futuro e alla costruzione di una società basata su democrazia e giustizia sociale.
Benigni ha poi messo in guardia dai pericoli del nazionalismo, definendolo “un’ossessione, una fede integralista” per la nazione al di sopra di tutto, “anche di Dio”. Ha così esortato il pubblico a distinguere tra patriottismo, che implica “amore” per la propria patria, e nazionalismo, fondato sulla “paura del mondo”. E la paura, ha aggiunto, “è all’origine di quasi tutte le stupidaggini umane”.
Sono stati 4 milioni 396 mila i telespettatori che hanno seguito in diretta Rai1 “Il Sogno” di Roberto Benigni. Lo share è stato del 28.1%. Il monologo è andato in onda anche in Eurovisione, in contemporanea su Radio 2 e in streaming su Raiplay. All’inizio molta fuffa: “Il sogno della pace universale è fattibile? Quasi tutti mi risponderebbero di no, io vi dico che non solo è raggiungibile ma inevitabile – arringa il pubblico il comico e regista toscano, premio Oscar con La vita è bella -. La guerra finirà per sempre, non c’è alternativa, non può che finire così. E siamo noi europei che dobbiamo dire agli altri: siete fratelli”.
Sono in molti a concordare con la lettura che il premier Meloni ha fatto di alcuni passi del Manifesto di Ventotene che mercoledì ha provocato isterismi nelle opposizioni alla Camera. Intellettuali e scrittori come Pierluigi Battista, già vicedirettore del Corriere della Sera, sociologi come Luca Ricolfi, storici come Cardini. Il Foglio, poi, ripropone un’analisi dell’editorialista e saggista Ernesto Galli Della Loggia, un estratto da un saggio uscito sul libro di Giuliano Amato e lo scrittore – “Europa perduta?”- edito dal Mulino nel 2014. Mentre a reti unificate i grandi giornaloni lanciano accuse contro il presidente del Consiglio (Emiliano Fittipaldi sul Domani parla del suo intervento come di “fogna della storia”) e si attorcigliano sulla difesa dell’ultimo feticcio come fosse il Vangelo, in molti prediligono la riflessione equilibrata. Anziché il comizio eurolirico di Benigni su Rai1 nella “famigerata” TeleMeloni.
Battista intervistato dal Giornale avvisa che «quel manifesto va letto. E se lo leggi ti accorgi che non c’è scritto “viva l’Europa”. C’è scritto cosa loro volevano che diventasse l’Europa». Ovvero: «Un superstato che abolisse per decreto gli stati nazionali, diretto da una “dittatura rivoluzionaria”, c’è scritto proprio così. Cioè da una oligarchia che si autonominava depositaria dei valori da incarnare a prescindere da qualsiasi forma di consultazione popolare». Il che vuol dire senza voto, senza urne. E’ questo che a sinistra difendono come se non ci fosse un domani, strempiti, urla e lacrime? «Nel manifesto si dice che il popolo è “immaturo” (testuale) e che la normale metodologia democratica non può funzionare finché il popolo non diventa maturo. Il compito della oligarchia rivoluzionaria è di educare il popolo alla Ragione. È il vecchio mito di Platone, del re filosofo. È la cosa più antidemocratica che esista al mondo». Di fatto in questi passi del Manifesto di Ventotene si espunge il pluralismo. C’è «l’idea che esista una categoria di ottimati, di filosofi, che sanno qual è il bene del mondo e lo impongono». Mentre «l’idea del liberalismo democratico è il pluralismo, il conflitto di opinioni. E questa idea è costituiva dell’Europa. Non Ventotene», dice chiaro e tondo Battista.
Luca Ricolfi sul Messaggero scrive che il modo in cui formulata l’idea di Stati Uniti d’Europa “fu elitario, giacobino e anti-democratico. Da questo punto di vista, forse, anziché ripetere meccanicamente che il meraviglioso ideale di Ventotene è stato tradito dalle classi dirigenti che ci hanno condotti all’Europa attuale, forse dovremmo domandarci se il progetto europeo non è fallito proprio perché a quell’ideale si è conformato fin troppo”. Il Manifesto dice chiaramente che “l’assetto sociale da promuovere è di tipo socialista (anche se non comunista), con ampi espropri e severe limitazioni alla proprietà privata. Nessuna considerazione riceve l’eventualità che l’assetto possa essere liberale, o non socialista”. Scrive il saggista e sociologo: “Spiace dirlo ma il Manifesto di Ventotene è il più esplicito e conturbante ripudio del pluralismo, la più clamorosa deviazione dal percorso democratico e costituzionale (libere elezioni + Assemblea Costituente) che, molto saggiamente, l’Italia seguirà dopo la fine della seconda guerra mondale”.
La conclusione del ragionamento di Rifolfi è questa: “L’Europa di oggi, governata da una élite burocratica e autoreferenziale, soffre del medesimo male: la costruzione dall’alto, senza coinvolgimento popolare che affligge il Manifesto di Ventotene. Si può essere euro-scettici o europeisti convinti – è il succo- ma chi davvero sogna gli Stati Uniti d’Europa, se crede nel metodo democratico non può prendere a modello il Manifesto di Ventotene. Idolatrare quel modello è stata un’ingenuità, dettata dall’ideologia e dalla scarsa conoscenza. Possiamo fare molto di meglio, e dobbiamo provarci senza rinunciare al pluralismo e alla democrazia”.