Riscoprire l’idea di autorità

Il bisogno di legittimarne nuovamente la pratica

E quando si parla di autorità non può che intendersi,in linea di massima, l’autorità di una sola persona o istituzione.E in questa direzione dovrebbe spingerci l’immediata attualità. per fare un esempio, è ammissibile che in un momento di grave emergenza come quella generata dalla massa di migranti che approdano in migliaia ogni giorno, il ministro degli Interni non abbia l’autorità di decidere e di disporre la loro collocazione sul territorio come meglio giudica e poi rispondere di quello che fa dinanzi al Parlamento della Repubblica? E’ ammissibile che per agire debba essere subordinato al volere di più di ottomila sindaci che conta l’Italia, quasi che il suo ruolo appaia quello di uno desideroso di portare lo scompiglio nel Paese? Ma questo è solo un esempio, il problema è molto più vasto. Nel nostro Paese si è affermata la tendenza alla ‘diluizione del potere di decidere’. Questa tendenza trova la sua massima espressione nella prassi della concertazione divenuta ormai una sorta di principio costituzionale virtuale. In pratica, in uno Stato come il nostro dove sono fortissimi gli interessi locali e settoriali, i corporativismi e le gelosie di competenza;ciò comporta riunioni interminabili con il conseguente allungamento dei tempi e sovente con l’adozione di testi lunghi e farraginosi non di facile comprensione se non da parte della burocrazia che li ha redatti.Senza tener conto di un’altra grave conseguenza:che ogni decisione di questo tipo finisce per essere figlia di ignoti. Viene meno,quindi, quel principio di imputabilità e quindi di responsabilità amministrativa che dovrebbe costituire il caposaldo di ogni democrazia. Al declino dell’idea di autorità ha contribuito certamente la delegittimazione totale del giudizio del capo dell’ufficio per ciò che concerne l’avanzamento delle carriere degli addetti e i connessi riconoscimenti economici. Questo è scaturito dalla sindacalizzazione del pubblico impiego, svoltasi alla fine degli anni sessanta all’insegna di una lotta senza quartiere contro il principale potere in cui si sostanziava l’autorità del superiore gerarchico: quello di incidere sulle carriere e sulle retribuzioni.Contro questo potere sicuramente arbitrario si è cercato di adottare meccanismi alternativi di accertamento del merito, i quali potessero assumere quantomeno le sembianze dell’oggettività, fondati di volta in volta sull’automatismo dell’anzianità, sulla collegialità dell’organo giudicante o come avviene per la scuola addirittura su una sorta di autovalutazione collettiva degli insegnanti. Quanto, poi, al’effettivo accertamento del merito il disastro è sotto gli occhi di tutti. Perché se è vero che il giudizio del singolo poteva nascondere abusi e ingiustizie, è altrettanto vero però che i criteri adottati in alternativa finiscono per premiare i meritevoli e gli immeritevoli, creando così un altro tipo di ingiustizia diversa dall’altra, ma contro la quale non ci sono rimedi. Il tutto con un rilevante danno per l’interesse generale.

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