Matteo Salvini si sta preoccupando molto della riforma della giustizia e non soltanto per le sue posizioni garantiste, ma anche per stoppare il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, principale candidato alternativo a Mario Draghi nella corsa al Quirinale. Emma Bonino, vicina alle posizioni garantista del leader leghista e favorevole però alla novità di una donna al Quirinale, ha affermato che, “non credo che il referendum sia uno sgambetto alla Cartabia”, ha detto riferendosi al pacchetto di referendum sulla giustizia (dalla separazione delle carriere alla responsabilità civile dei giudici) che i radicali vorrebbero proporre e che vede anche il favore della Lega.

Ma una raccolta firme su tutti i temi caldi della giustizia “non può non finire con il tirare dentro lo scontro politico un ministro che ha sempre prediletto l’approccio low profile”, scrive il Giornale riferendosi alla Cartabia. Entro fine mese ci sarà il deposito dei quesiti in Cassazione, a luglio il via alla raccolta di firme e il prossimo anno – tra il 15 marzo e il 15 giugno – la consultazione referendaria.

Quesiti che, politicamente, rischiano di sovrapporsi all’elezione del nuovo capo dello Stato, in agenda a inizio febbraio del 2022. In casa leghista però rassicurano che l’obiettivo non è quello, cioè quello di mettere in difficoltà la Cartabia. “Anche se è evidente che una raccolta firme su tutti i temi caldi della giustizia non può non finire con il tirare dentro lo scontro politico un ministro che ha sempre prediletto l’approccio low profile”, ricorda sempre il Giornale. Un sodalizio, radicali e Lega, non nuovo almeno sulla giustizia. Nel 1993 Marco Pannella intervenne ad Assago al congresso straordinario del Carroccio per illustrare la campagna referendaria radicale, con Umberto Bossi che aveva deciso di sostenere alcuni dei quesiti. O la storia del  Parlamento della Padania di Chignolo Po, provincia di Pavia, “votato” dal popolo leghista sotto i gazebo il 26 ottobre 1997. Ad essere eletto, infatti, l’allora giovanissimo Salvini, ma anche l’attuale sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova in quell’occasione alla guida della Lista Pannella.

Nel  pomeriggio di confronto  tra la Ministra della Giustizia Marta Cartabia e i capigruppo della maggioranza, è stata presentata nel dettaglio la proposta di riforma da collegare al Recovery Plan  nei prossimi mesi: un progetto articolato in tre parti per ridurre i tempi del processo civile, penale e per riformare infine il Consiglio Superiore di Magistratura dopo gli ultimi mesi di scandali e polemiche. Parallelamente ai progetti di referendum lanciati da Lega e Radicali  (sull’abolizione della Legge Severino), la Ministra Cartabia ha invitato tutti i partiti del Governo Draghi a collaborare per portare a casa la riforma cruciale, senza la quale «sono a rischio i 200 miliardi del PNRR».

Nei prossimi giorni invece arriveranno le proposte di emendamento: «Sulla durata dei processi il governo si gioca tutto il Recovery», avrebbe detto  Cartabia secondo il retroscena di Repubblica e Fatto Quotidiano, «Non solo solo i 2,7 miliardi del Pnrr destinati alla giustizia, ma i 191 miliardi destinati a tutta la rinascita economica e sociale italiana». Ancora la Ministra ex Presidente Consulta gli obiettivi sono già fissati: «in cinque anni dobbiamo ridurre del 40% i tempi dei giudizi civili e del 25% dei giudizi penali. Sono obiettivi davvero ambiziosi. Chi si sottrae al cambiamento si dovrà assumere la responsabilità di mancare una occasione così decisiva per tutti. L’impresa è titanica. Nessuno ce la può fare senza il contributo, l’impegno, l’entusiasmo, la disponibilità di tutti, tanto a livello politico e che giudiziario. Ma dobbiamo farcela».

Oggi, Marta Cartabia si appresta a cancellare la prescrizione senza tempo voluta dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede e tira fuori dalla naftalina la legge Pecorella, varata nel 2006 e poi messa fuori legge dalla Consulta. In caso di assoluzione – questo diceva la Pecorella – il pm non può presentare appello. Una norma di buonsenso, almeno in generale, perché è difficile capire come si possa arrivare a condannare un imputato oltre ogni ragionevole dubbio se lo stesso è stato assolto in primo grado sulla base degli stessi elementi. La norma fu poi dichiarata incostituzionale nel 2006 perché alterava il rapporto fra accusa e difesa, ma quella era un’epoca in cui il partito dei giudici e le componenti più forcaiole del mondo della giustizia distribuivano patenti di legittimità, mettevano veti e facevano cadere pure i governi. Oggi, per prevenire possibili obiezioni, la norma potrebbe essere bilanciata riducendo il campo dell’appello anche per il difensore, con l’introduzione di vincoli e filtri. Si può discutere di tutto, naturalmente, ma se prevale uno spirito di collaborazione, allora una soluzione mediana, di compromesso, si può trovare.

Così è sul versante della prescrizione: la prescrizione, così come l’ha disegnata Bonafede, di fatto evapora dopo il verdetto di primo grado. È evidente che questo meccanismo può avere un senso in un sistema perfettamente funzionante in cui i successivi gradi di giudizio vengono affrontati con celerità. Ma nel pantano italiano, quello cui aveva promesso di porre rimedio il Conte 1, questo significa immolare gli indagati sull’altare di processi interminabili. Naturalmente, la strada da percorrere è ancora lunga e non sarà facile trovare una soluzione adeguata alla complessità dei problemi. Ma non è questo il punto. La verità è che oggi si può mettere mano a quel che prima era un tabù. Qualunque riforma entrava nel solito vortice: c’era una sorta di anatema, alcuni giornali lanciavano l’allarme, qualcuno arrivava a dire che era un gioco la libertà. Insomma, un crescendo di dichiarazioni drammatiche che finivano fatalmente per bloccare qualunque tentativo di aggiornamento.

Per capire  il progetto di riforma della Ministra Cartabia,  occorre partire da quanto detto da lei stessa  ai partiti di maggioranza: «È l’eccessivo numero di processi che si concludono con la prescrizione, più volte rimproverataci da molti organi internazionali di monitoraggio una delle disfunzioni dei giudizi troppo lunghi».

«Il pacchetto del ministro Cartabia per la riforma della giustizia ci soddisfa, si intreccia con tante proposte storiche di Forza Italia, ha un profilo garantista e soprattutto ha come obiettivo quello di ricostruire un sistema azzoppato, ristabilendo un principio di civiltà giuridica. Vengono archiviati gli errori commessi e perpetrati negli ultimi anni, viene rivista in modo intelligente la prescrizione, il pm non potrà appellare le sentenze di assoluzione, vengono previsti interventi per ridurre sensibilmente la durata del processo civile», spiega Matilde Siracusano, deputata di Forza Italia e componente della Commissione Giustizia ala Camera. «Un disegno coraggioso – conclude la deputata FI – che potrebbe davvero cambiare il volto della giustizia nel nostro Paese e che si rende indispensabile per non perdere le risorse europee del Recovery Plan. Finalmente vediamo la luce in fondo al tunnel. Toccherà alle forze politiche che sostengono il governo Draghi dimostrare maturità e perseguire fino in fondo questi importanti obiettivi». I tempi sono molto stretti come impone il Recovery Plan: a giugno la riforma delega, poi in settembre Csm e lunghezza processi.