Riduzione dell’assegno divorzile per l’ex moglie che non si impegna per trovar lavoro Corte di Cassazione I Sezione Civile

Riduzione dell’assegno divorzile per l’ex moglie che non si impegna per trovar lavoro Corte di Cassazione I Sezione Civile Ordinanza 10782 Depositata il 17 Aprile 2019

Respinte le obiezioni proposte dalla donna. Definitiva la decisione con cui i Giudici hanno portato da 1.800 euro a 1.000 euro la cifra che dovrà versarle l’ex marito ogni mese.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Presidente VALITUTTI Antonio
Relatore LAMORGESE Antonio Pietro

ha pronunciato la seguente:
Ordinanza n. 10782 dep. il 17 aprile 2019

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 19 giugno 2012, poneva a carico di L.C. un contributo di mantenimento per i due figli (nati il 14 aprile 1998 e il 4 luglio 2000) pari a Euro 2.200,00 mensili, oltre a tutte le spese straordinarie, e un assegno divorzile di Euro 1.800,00 mensili a favore di M.R..

Il L. proponeva appello, chiedendo l’eliminazione o, in subordine, la riduzione dell’assegno divorzile e la riduzione del contributo per i figli.

Con sentenza d e 121 luglio 2014, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza impugnata, riduceva l’assegno divorzile a Euro 1.000,00 e il contributo per i figli a Euro 2000,00.

La M. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, cui si oppone il L..

Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, succ. mod., imputa alla Corte di merito di avere ridotto l’assegno divorzile (da Euro 1800,00 a Euro 1000,00), in considerazione del fatto che godeva della casa coniugale e che non si era attivata a cercare un’occupazione lavorativa, in tal modo erroneamente applicando un criterio – circa la possibilità per l’ex coniuge richiedente l’assegno di procurarsi mezzi adeguati, in relazione alla propria capacità lavorativa – pertinente ai soli fini dell’an e non del quantum debeatur; di avere valutato solo in astratto la possibilità di procurarsi mezzi adeguati alla conservazione del tenore di vita matrimoniale, omettendo di valutare che non le era possibile reperire un lavoro, pur essendo iscritta nelle liste di collocamento; di non avere considerato che l’assegnazione della casa coniugale era destinata a cessare con il venir meno della convivenza con i figli.

Al predetto motivo è connesso il terzo, con il quale la M. denuncia omesso esame di fatti che si assume decisivi: di essersi iscritta nelle liste di collocamento dal 2005 senza ricevere risposte e dedicata, all’epoca della separazione, all’accudimento di figli in tenera età, ciò dimostrando lo stato di disoccupazione e l’impossibilità oggettiva di procurarsi mezzi adeguati; di avere quantificato l’assegno, in considerazione del suo onere di attivarsi per trovare un’occupazione, circostanza tuttavia già valutata dal Tribunale per la quantificazione dello stesso in misura che la Corte d’appello poi aveva ridotto.

Entrambi i motivi sono infondati.

E’ innanzitutto infondato l’argomento riguardante la commistione tra i criteri attributivi e quantificativi dell’assegno divorzile, che corrisponde, in realtà, all’interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, seguita dalle Sezioni Unite (n. 18287 del 2018), secondo le quali al predetto assegno deve attribuirsi una funzione assistenziale, compensativa e perequativa, essendo il giudice di merito tenuto ad applicare i criteri di cui alla prima parte della norma (condizioni delle partì, redditi ed età di entrambi, contributo fornito da ciascuno alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, durata del matrimonio), i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. La sentenza impugnata, nel quantificare l’assegno, correttamente ha tenuto conto di quei criteri e, in particolare, della capacità lavorativa e reddituale della M., già evidenziata dal primo giudice che aveva giustificato il maggiore importo dell’assegno in via provvisoria, nell’attesa che quella capacità venisse messa a frutto.

La Corte di merito, con statuizione non impugnata in via incidentale dal L., ha attribuito l’assegno alla M., all’esito di una valutazione della disparità economica tra le parti e dei redditi reali (superiori a quelli dichiarati) dell’ex marito, questi ultimi già accertati dal Tribunale con statuizione non impugnata in appello, essendosi consolidato l’accertamento delle maggiori capacità economiche dell’ex coniuge obbligato, cui è parametrato il giudizio sulla quantificazione dell’assegno, unitamente agli altri criteri indicati dalla legge.

Infondata è la doglianza riguardante l’omessa considerazione della funzione ripristinatrice del tenore di vita matrimoniale, ai fini del quantum debeatur, atteso che la funzione dell’assegno non è quella di ricostituire il tenore di vita coniugale (in tal senso S.U. n. 18287 del 2018; sez. I, n. 11504 del 2017), ma principalmente di assistere il coniuge privo incolpevolmente di mezzi adeguati e, poi, di riequilibrare le condizioni economiche degli ex coniugi, nei casi in cui vi sia la prova – di cui è onerato il coniuge richiedente l’assegno, trattandosi di fatto costitutivo del diritto azionato – che la sperequazione reddituale in essere all’epoca del divorzio sia direttamente causata dalle scelte comuni di vita degli ex coniugi, per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie realistiche aspettative professionali e reddituali per dedicarsi interamente alla famiglia, in tal modo contribuendo decisivamente alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune.

La Corte di Milano, come si è detto, ha riconosciuto l’assegno e lo ha determinato in misura non irrisoria, sulla base dei criteri indicati nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, avendo positivamente accertato le insufficienti disponibilità economiche della M., in comparazione con quelle del L..

La ricorrente si è limitata a dedurre, da un lato, l’insufficienza dell’importo liquidato a farle conservare il tenore di vita matrimoniale, ma la censura è infondata per le ragioni già esposte e, dall’altro, la propria incapacità economica e lavorativa, in relazione al dedotto stato di disoccupazione, fatti tutti valutati nell’ambito di un apprezzamento discrezionale operato dalla medesima Corte, ai fini della quantificazione concreta dell’assegno, incensurabile in sede di legittimità se – come nella specie – immune da omissioni valutative decisive, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 8057 del 1996).

Con riguardo al contributo dato dalla M. alla conduzione familiare, già il Tribunale e implicitamente la Corte d’appello ne hanno tenuto conto, fermo restando che quello che assume rilevanza è come si è detto – il contributo derivante dalla scelta, concordata con il coniuge, di dedicarsi interamente alla famiglia, che abbia comportato il sacrificio delle proprie realistiche aspettative professionali e, di conseguenza, la sperequazione economica e patrimoniale rivelatasi al momento del divorzio. Nella specie, la ricorrente si è limitata, solo nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., a riferire del tutto genericamente di avere tralasciato le proprie aspirazioni professionali, senza neppure indicarle, fermo restando che l’assegno le è stato riconosciuto, sicchè la prioritaria funzione assistenziale dell’assegno è stata realizzata, unitamente a quella compensativa.

Infondato è il profilo concernente il godimento della casa familiare da parte della ricorrente, trattandosi di una utilità suscettibile di valutazione economica che, rientrando nella consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi, il giudice di merito è tenuto ad accertare, valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell’immobile a titolo di locazione (Cass. n. 26197 del 2010, n. 4203 del 2006).

Il secondo e quarto motivo riguardano la riduzione, da Euro 2200,00 a Euro 2000,00, del contributo di mantenimento dei figli posto a carico di L., che si assume operata omettendo l’esame di fatti decisivi per il giudizio e senza tenere conto dei criteri indicati dall’art. 337 ter c.c. (esigenze dei figli aumentate nel tempo, tempi prevalenti di permanenza presso la madre, alto tenore di vita della famiglia).

Entrambi i motivi sono fondati, non essendo la riduzione della misura del contributo di mantenimento dei figli (ormai divenuti maggiorenni) supportata da alcuna comprensibile motivazione risultando quindi al di sotto del minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8053 del 2014) -, tale non potendo ritenersi il cenno alla “stesse ragioni” esposte con riguardo alla riduzione dell’assegno divorzile.

In conclusione, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese della presente fase.

P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e terzo motivo, accoglie gli altri motivi, in relazione ai quali cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2019

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