Renzi sfida Berlusconi e blinda la sua maggioranza

Le riforme si fanno “con chi ci sta”. Matteo Renzi rinnova il patto di governo con la sua maggioranza, con orizzonte 2018. Incassa dagli alleati un impegno scritto sui temi caldi al centro dell’agenda: legge elettorale, ddl costituzionale, Jobs act e delega fiscale. E concede ai piccoli partiti un’apertura sulla soglia di sbarramento nell’Italicum, abbassando l’asticella fino al 3%. Una percentuale ben al di sotto dell’8% chiesto da Silvio Berlusconi e del 5% proposto inizialmente dal premier come mediazione. Una scelta che aumenta la ‘pressione’ sul Cavaliere e concretizza, con un passo che suona come una sfida, il proposito di Renzi di andare avanti “anche da soli”, con le forze di maggioranza, se Forza Italia non ci starà. Per il premier è l’ora di chiudere e Berlusconi si deve decidere: per questo un nuovo incontro con il leader di FI ci sarà mercoledì pomeriggio, poi una riunione della direzione Pd metterà il sigillo. Sulla legge elettorale l’obiettivo di Renzi è riavviare il cammino in commissione al Senato entro la settimana, per arrivare in Aula entro fine anno e chiudere la partita alla Camera a febbraio. Ed è anche per questo che in serata fa ingresso a Palazzo Chigi una folta delegazione composta da una quindicina di persone, in rappresentanza di partiti, partitini e componenti parlamentari della maggioranza: dal Pd a Ncd, Sc e Pi, Cd, socialisti e autonomie. Renzi incontra prima Angelino Alfano e poi Pier Ferdinando Casini e convoca per domani la direzione del Pd per discutere, come dicevamo,  di governo, Jobs act ed Italicum. Tanto febbrile movimento non è niente altro che una scossa a Berlusconi che convoca per oggi il comitato di presidenza di Forza Italia, per far passare un chiaro e scarno messaggio: “Al Patto del Nazareno non c’è alternativa”. L’ultimatum a Forza Italia si è spostato di 48 ore e prima della Direzione del Pd Renzi vedrà Berlusconi.  L’incontro a Palazzo Chigi diventa più in generale l’occasione per rinsaldare il programma di governo, confermando l’impegno sul Jobs act entro il primo gennaio. Realizzare le riforme, è il ragionamento fatto nella riunione e riferito da Pino Pisicchio, serve a “rivendicare” margini in Ue. Nel documento finale dell’incontro, che Renzi scrive in prima persona al termine di tre ore di confronto, c’è il rinnovo dell’impegno ad arrivare al 2018, perché il voto anticipato sarebbe “un errore e una sconfitta inaccettabile”. E c’è la promessa di completare senza stravolgimenti la prima lettura della riforma del Senato entro gennaio alla Camera e entro marzo al Senato. Ma c’è per la prima volta un’inversione nel metodo del patto del Nazareno. Dopo aver proposto a Berlusconi le modifiche all’Italicum e aver incassato finora solo dilazioni, il leader del Pd mette nero su bianco quelle modifiche insieme ai partiti della maggioranza, per poi sottoporle mercoledì al Cavaliere. “Abbiamo anche da soli i numeri in Parlamento”, spiega Guerini, “ma abbiamo l’ambizione di fare le riforme con tutti”. Dagli alleati di governo il Pd incassa il via libera al premio alla lista, con soglia al 40%, e un sistema con capilista bloccati e preferenze, con quota di genere e non più di 100 collegi. Ma ai piccoli partiti concede un’apertura importante sulla soglia di sbarramento, mettendo per iscritto che sarà del 3%. E non farà di certo piacere, questo passaggio, al Cavaliere, che una percentuale così bassa libererebbe i piccoli partiti dall’abbraccio di FI. Ma non è detto, spiegano fonti dem, che alla fine il confronto porti ad un’intesa finale su una soglia leggermente più alta, al 4%. Il Cavaliere non può ignorare la fronda interna guidata da Fitto e ha finora temporeggiato ma a questo punto è messo alle strette da Renzi: il rischio è non solo dire addio al patto del Nazareno ma anche chiamarsi fuori da quel ruolo di interlocutore che poteva conseguirne anche su altri fronti come quello dell’elezione del prossimo capo dello Stato. Il patto di maggioranza sarà sottoposto mercoledì sera al Pd nel corso di una direzione chiamata ad assumere “determinazioni” anche su un tema che spacca il Pd come il Jobs act. L’incontro è voluto però dal segretario-premier per fare un punto più in generale sulla situazione del governo, a un crocevia particolarmente delicato della legislatura.

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