Renzi: ‘Referendum derby tra passato e futuro’

‘Non mi preoccupa lo spread, anche in caso di vittoria del no, io non agito le bandierine. Certo se non fanno le riforme Italia è finita’,  afferma il premier Matteo Renzi nel corso della trasmissione ‘Faccia a Faccia’ su La7. Renzi, dal palco della Leopolda, ha anche attaccato la minoranza del Pd ed i teorici della ditta quando ci sono loro, e dell’anarchia quando ci sono gli altri. Un attacco che la platea della Leopolda accoglie con un ‘fuori,fuori’ riferito alla sinistra interna. ‘A me ha fatto male sentire ‘fuori fuori’, ma ancora più male, al di là della voce della tifoseria, il silenzio di chi è stato zitto. Vuol dire che oltre all’arroganza c’è anche la sudditanza.  Ma su queste due gambe un partito riformista e plurale non può andare avanti’, dice  l’ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, commentando i cori ‘fuori fuori’, rivolti alla minoranza dem: ‘Io ho notato ieri alla Leopolda qualcosa che non ho mai notato nel Pd, che è sempre stato un partito plurale, dove la gente ragiona con la propria testa, dove si cerca la sintesi, a volte anche faticosa. Invece vedo che prende la piega di un partito che cammina su due gambe: arroganza e sudditanza. Chi fa il segretario  deve fare sintesi tra posizioni diverse, invece accende le micce. Ritengo legittimo e giusto che un partito dia la sua indicazione ma dovrebbe essere lo stesso segretario a dire: ‘Il Pd dà la sua indicazione, dopo di che tranquilli, davanti a un tema costituzionale, visto che c’è una parte di noi che non è d’accordo, votate secondo criterio, vedete se potete seguire le indicazioni del partito, ma siamo tutti qua. Io ragiono così’. Bersani ha infine escluso l’ipotesi di lasciare il Partito Democratico: ‘Il partito è casa mia, non lo lascerò mai’. Dal canto suo Renzi annota: ‘C’è un po’ di amarezza perché in parte del nostro partito è prevalsa la tradizionale volontà non tafazziana, sarebbe troppo semplice dire che è farsi del male da soli, ma è prevalso il messaggio che gli stessi che 18 anni fa decretarono la fine dell’Ulivo perché non erano loro a comandare la sinistra stanno decretando la fine del Pd perché hanno perso un congresso e usano il referendum come lo strumento per la rivincita. Con rispetto, umiltà ma decisione non ve lo consentiremo. Ieri abbiamo razionalmente smontato tutte le bufale del No ma a loro non basta perché per loro il referendum serve a bloccare tutto ciò che, partendo da qui, abbiamo fatto, dicono di difendere la Costituzione ma stanno cercando di difendere solo i loro privilegi e la possibilità di tornare al potere. Sanno che il 4 dicembre è l’ultima occasione per tornare in pista. Il nostro 2017  potrebbe essere un anno meravigliosamente difficile ma meravigliosamente bello: l’anno della svolta per l’Italia e l’Europa, a partire dall’appuntamento del 25 marzo 2017 sui trattati Ue. A quel governo volete arrivarci con un’Italia delle idee o con un ‘governicchio tecnicicchio’? Con un’Italia che guarda all’Europa o a classe dirigente politica che non può che continuare a fallire?. Con il referendum costituzionale siamo ad un bivio, è il derby tra passato e futuro, tra cinismo e speranza, tra rabbia e proposta, tra nostalgia e domani’. Naturalmente, riguardo alla riforma costituzionale,  arrivano pareri contrari da ogni lato. Quelli del ‘No’ diventano sempre più compatti e,  a detta di molti,   la riforma Renzi è, nelle sue linee portanti, la stessa di quella di Berlusconi del 2005, bocciata dal referendum popolare del 2006. Sinteticamente essa sposa il modello del Sindaco d’Italia,  quello di un un uomo solo al comando. In altre parole, prevede un ulteriore rafforzamento dei poteri del governo, formalizzando in diritto la fuoriuscita dalla repubblica parlamentare. Non è una cosa da poco perché in una società pluralista mettere al centro il parlamento in teoria garantisce la sovranità popolare e la rappresentanza meglio di quanto lo possa fare il governo e la sua maggioranza. In secondo luogo, è anche peggiore in quanto abbandona il progetto del passaggio dallo Stato regionale a quello federale,  ma torna addirittura allo stato centralizzato. Prevedendo Aree metropolitane e Senato eletti indirettamente dai consiglieri comunali e da quelli regionali, riduce le sedi di partecipazione diretta dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti. Sedi che sono più numerose in un assetto istituzionale fortemente decentrato multilivello che non in uno centralizzato. Tutto questo in forte contrasto con la Costituzione europea (TFUE) che ha assunto nei suoi principi regioni e poteri locali come strumento fondamentale della democrazia partecipativa. Un testo di riforma dissennato e irrecuperabile,  lo definì il prof. Sergio Mattarella,  allora deputato e ora presidente della Repubblica. Più estensivamente scrisse: ‘L’impraticabilità del sistema di governo previsto, con i connessi rischi di paralisi istituzionale, deriva dalla configurazione data al Senato: questo non essendo affatto riconducibile alle regioni, manterrebbe un carattere politico nazionale ma non avrebbe rapporto di fiducia con il governo e quindi non sarebbe soggetto alla possibilità di scioglimento anticipato. Questa contraddizione emerge con grande evidenza considerando che è previsto che il Senato intervenga, obbligatoriamente o su sua richiesta, in tutte le decisioni politiche importanti, alla pari della Camera dei deputati. Se si aggiunge che è previsto che il Senato possa avere, e verosimilmente abbia, una diversa legge elettorale e, quindi, una composizione e una maggioranza diverse, si comprende quanto alta sia la possibilità di paralisi istituzionale. Ci si trova al di fuori del sistema di freni e bilanciamenti che caratterizza ogni democrazia’. Parlando alla Columbia University di leadership a livello mondiale, di cooperazione tra Ue e Usa, di crisi del processo di integrazione europea, di crisi migratoria, di Primavere arabe e quant’altro, l’attuale Presidente della Repubblica infila una breve frase sulla riforma costituzionale: ‘Dopo anni di dibattito, il Parlamento sta per approvare definitivamente un’importante riforma della Costituzione che trasforma il ruolo del Senato da seconda Camera politica,  con le medesime attribuzioni della Camera dei Deputati, in Assemblea rappresentativa delle Regioni e dei poteri locali’. Subito dopo, menziona anche le riforme del mercato del lavoro, del sistema scolastico, della pubblica amministrazione, del sistema fiscale, di quello previdenziale e della giustizia che stanno consentendo un significativo recupero di efficienza e competitività per il nostro Paese. Alcuni giornali italiani interpretarono suddetto intervento come una forte sponsorizzazione della riforma costituzionale. Ma possiamo perdonare il Presidente della Repubblica se da costituzionalista si lascia prendere dall’entusiasmo. Alcuni giornali italiani interpretarono l’intervento come una forte sponsorizzazione della riforma costituzionale.   Come noto, alcuni costituzionalisti italiani si sono posti la domanda se era legittimo che un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte costituzionale n.1/2014 potesse affrontare una riforma costituzionale che modifica 47 articoli della Costituzione. Sulla stessa linea, altri costituzionalisti, a prescindere dalla legittimità o meno della legge elettorale, ritengono che un’analisi sistematica della Carta e in particolare quella dell’art. 138 non consentirebbe di modificare in un solo colpo poco più di un terzo degli articoli. Questo è quanto e restiamo in attesa del 4 dicembre per conoscere la volontà dei votanti.

Roberto Cristiano

 

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