Renzi: ‘Non sto nella palude per i diktat minoranza Pd’

Nel Pd non si placano le tensioni dopo lo scontro sulle riforme e l’accesa Assemblea di ieri ha regalato nuove scintille tra la minoranza Dem e Matteo Renzi, ben anticipata da scie di veleni e rischio di scissione. Il Segretario e premier è stato durissimo richiedendo lealtà e non accettando nuovi diktat in Parlamento, scegliendo comunque di non arrivare allo strappo ma dicendo a chiare lettere: “Contrasto il racconto mitologico e nostalgico dell’Ulivo quando quella esperienza è stata mandata a casa dai nostri errori e dalle nostre divisioni”. Non sono mancati, quindi, toni forti e duri, e da botta e risposta nell’assemblea. Già sulle riforme, in commissione alla Camera, si era consumata l’ennesima battaglia tra renziani e minoranze, di un partito che il presidente Matteo Orfini non esita a paragonare, per quantità e densità delle trame, alla serie “Trono di spade”. Eppure, chi si attendeva una resa dei conti totale, è rimasto deluso. Renzi non si tira indietro ed invita il Pd a fare, e non osservare, i cantieri. “Noi siamo quelli che cambiano l’Italia, non quelli che stanno a mugugnare. Il Pd non è un partito che va avanti a colpi di maggioranza ma sia chiaro che non starà fermo nella palude per i diktat della minoranza. Chi non è d’accordo non deve sottostare ad un principio di obbedienza ma di lealtà al partito. E chi vuol cambiare premier o segretario si metta il cuore in pace, perchè questo non avverrà prima del 2017 e del 2018”. C’è stato un attacco frontale a Renzi da parte di Stefano Fassina, uno dei leader della sinistra dem, che sibila nel suo intervento: “Non ti permetto di fare caricature, la minoranza non fa diktat, non vuole andare alle elezioni e non vuol far cadere il governo. Smettila di scaricare le responsabilità sulle spalle degli altri”, accusando il premier di volere le elezioni anticipate. “Se vuoi andare al voto dillo”. Renzi, al suo primo compleanno da segretario del Pd conclude dicendo che non vuole andare al voto ed attende il momento giusto per realizzare i progetti in politica. Ma le sue parole non servono a spegnere il dissenso. L’assenza di Massimo D’Alema fa rumore, Pier Luigi Bersani è fermo per un “mal di schiena”, ma sul palco i toni di Alfredo D’Attorre e Gianni Cuperlo non sono certo morbidi, con il leader di Sinistradem che, se da un lato accantona la parola scissione, dall’altro entra in tackle nel confronto Renzi-sindacati ed avverte: “Le piazze non diventino il nemico del Pd”. Il premier, entrando nel merito, rifiuta il giudizio sul Jobs Act, definito dai sindacati fascista, e sottolinea che è “finito il tempo nel quale i sindacati avevano il potere di veto con una manifestazione di piazza. Io ho da governare l’Italia e non il sindacato”. Renzi torna blindare i tempi e ribadisce che l’Italicum sarà a gennaio in Aula al Senato, e sulle riforme, punto fermo del premier, i sindacati non hanno potere di veto e che non prescindono da una lotta alla corruzione oggi più che mai attuale. 
E sul tema, Renzi cerca di spalar via ogni dubbio, soprattutto tra gli elettori: “Chi è disonesto non può camminare con il Pd. Chi sbaglia paga anche nel Pd”, afferma non risparmiando una nuova frecciata ai magistrati: parlino con le sentenze e non con le interviste. L’assemblea è stata anche quella del saluto, “forse l’ultimo”, al presidente Giorgio Napolitano che Renzi cita e difende, accompagnato dall’applauso della platea in piedi, dicendosi certo che questo Parlamento potrà eleggere il successivo. Un Parlamento, è la chiusura di Renzi, dove su nessun tema deve prevalere “l’anarchia” di partito.

Cocis

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