Renzi e il referendum

Il referendum e’ sul futuro del paese e non sul mio, dice  Matteo Renzi, a ‘Radio Anch’io’, correggendo la ricostruzione dell’incontro con gli industriali ieri a Torino che ipotizzavano che avesse detto ‘se perdo cambio mestiere’. Il premier è tornato all’attacco di Massimo D’Alema che sostiene il ‘No’, e che era stato criticato anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti. D’Alema,  ha detto Renzi,   usa il referendum per rientrare in partita, vota ‘No’ convinto di poter rappresentare il futuro. Il governo sta facendo cose che sono state rinviate per 20-30 anni. E’ vero che D’Alema e’ contro ma questa non e’ una discussione dentro il Pd, c’e’ gente di destra, ma anche di Grillo, che voteranno ‘Sì’. Chi vuole meno costi e’ chiamato ad un domanda secca. Si puo’ discutere se i risparmi sono 50 o 500 milioni, io ho dedicato una trasmissione a dimostrare, calcolatrice in mano, che sono 500 milioni ma comunque nessuno mette in discussione che c e’ una riduzione dei costi. Il premier torna anche sul nodo del Titolo V: ‘La riforma del Titolo V ha creato caos istituzionale’.  Alla domanda di un ascoltatore che evidenziava come la riforma delle province non abbia prodotto effetti, il premier ha replicato che le province sono in Costituzione e finche’ non cambia devono restare, quindi chi vuole abolirle deve votare ‘Sì’.  C’è da considerare che, riguardo al Senato, è  inconsistente l’affermazione che con i  problemi di bilancio pubblico che ha l’Italia,  andrebbe evitato  l’onere di dovere sostenere la spesa di una seconda camera. Al riguardo osservato che ,stando al bilancio del 2014, il Senato ha speso oltre mezzo miliardo, di cui 79 milioni per il costo dei senatori e 145 milioni per il costo del personale. Sono indubbiamente cifre elevate,  ma che vanno valutate perché si  tratta di una struttura fondamentale che attiene al funzionamento della democrazia, secondo il metodo e i principi che si sono espressi ed affermati in tutti i paesi della civiltà occidentale. E’ indubbio, poi,  che con la riforma costituzionale approvata  il Senato non  sarà certamente a costo zero. Vero è che  i nuovi senatori non percepiranno l’indennità parlamentare, ma ad essi, che provengono da tutte le regioni italiane, dovranno  essere  rimborsate le spese per partecipare ai lavori nella sede di Roma. Le spese per il personale poi potranno certamente essere ridotte, trattandosi di un consesso non più formato da 315 parlamentari,  oltre  ai pochi senatori a vita, ma soltanto da cento, ma dovendosi assicurare il corretto funzionamento dell’organo, per il quale il costo non è molto comprimibile, il risparmio di spesa non si prospetta eccessivo. Lo scontro politico si è  focalizzato  sul tema riguardante  i componenti dell’organo,  e  se dovessero la loro nomina ad una forma di elezione diretta, o   indiretta.  Dopo un  braccio di ferro politico soprattutto all’interno del Pd, la legge di riforma ha trovato una soluzione di compromesso, che da qualcuno è stata definita di ‘quasi elezione’, per cui il senato è composto  da 95 membri (oltre a cinque che possono essere  nominati dal presidente della repubblica, e che restano in carica solo sette anni, anziché a vita come in precedenza), di cui 74 consiglieri regionali e 21 sindaci . Al comma 5 si stabilisce che i senatori, definiti al primo comma ‘rappresentativi delle istituzioni territoriali’, sono eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri  delle istituzioni territoriali, ma poi al comma successivo si stabilisce che: ‘Con legge approvata da entrambe le camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del senato della repubblica tra i consiglieri e sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione della carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio’. A parte  il fatto che non è difficile prevedere che la legge che dovrà dare attuazione alle citate norme non sarà di agevole stesura, giova osservare che alla prevista scadenza della legislatura (del 2018, salvo eventuale scioglimento anticipato), la maggior parte delle regioni rinnoverà i consigli solo dopo questa data, per cui non potendo il nuovo senato funzionare per metà, sarà gioco forza che i senatori dovranno essere in un primo tempo nominati  dai consigli regionali in carica, per cui, tenendo conto delle scadenze elettorali dei consigli regionali, si desume che la nuova composizione del senato potrà  andare a regime solo nel 2022. Il ruolo, ovviamente ridotto,  conservato al senato per quanto concerne il procedimento legislativo è stabilito dall’art. 10 della legge costituzionale di riforma che riscrive la disciplina che risultava dal precedente art.70 della carta. La partecipazione collettiva,   e quindi paritaria del senato  con la camera dei deputati, è conservata solo per alcune materie. In particolare, meritano di essere ricordate le leggi di revisione della costituzione,  e le altre leggi costituzionali,   i referendum popolari, e le altre forme di consultazione previste dall’art 71 della carta, le leggi che determinano l’ordinamento e le funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane e le norme di principio sulle forme associative dei comuni, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle  politiche dell’unione europea, le norme sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore. Al di fuori di questi e degli altri pochi casi previsti dall’art 10, i disegni di legge approvati dalla camera dei deputati sono trasmessi al senato, ma questo può solo proporre in tempo breve modifiche, mentre l’ultima parola spetta alla camera dei deputati con qualsiasi maggioranza. In sostanza l’intervento del senato sulla legislazione riservata alla camera dei deputati si riduce essenzialmente ad un parere che può essere del tutto disatteso senza alcuna motivazione per cui non è stato necessario neppure individuare, come è previsto in Germania, uno strumento quale le ‘commissioni miste’, formato da membri delle due camere, Il Bundestag e il Bundesrat, per cercare di comporre le eventuali divergenze. Per quanto riguarda le materie di interesse regionale, la cui disciplina si trova nell’art 117 della costituzione, malgrado la definizione del senato di rappresentante delle istituzioni territoriali, soltanto per le materie di cui al quarto comma del citato articolo è previsto che  la camera dei deputati può non conformarsi alle modifiche proposte dal senato a maggioranza assoluta dei suoi componenti, pronunciandosi, a sua volta, nella votazione finale a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Sostanzialmente si può dire che la partecipazione del senato al procedimento legislativo è stata notevolmente ridotta non solo per quanto riguarda le materie riservate in via esclusiva alla camera dei deputati, ma anche per quanto riguarda le procedure attraverso le quali  il senato possa introdurre, in caso di disaccordo con la camera dei deputati, un confronto che non si riduca ad un mero parere consultivo, pur restando coerente con la  logica complessiva della riforma costituzionale che la parola ultima, nel caso non sia possibile risolvere il conflitto, spetti alla camera dei deputati. Per quanto riguarda le funzioni non legislative, nell’esame finale presso il senato è stato previsto che anche quest’ultimo concorra alla nomina dei giudici costituzionali (tre nominati dalla camera dei deputati, due dal senato).

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