Referendum costituzionale tra euro e contratto degli statali…

Il referendum costituzionale sta dividendo l’Italia,  spaccato a metà tra il ‘Sì’ ed il ‘No’. Il voto farà venir meno tantissime certezze e la prima a cadere sarà   quella relativa alla partecipazione. Tutti immaginano che non porterà alle urne  tanti elettori, pur avendo la questione quel carattere popolare e trasversale, dal punto di vista sociale e politico. Una bassa affluenza potrà  favorire i sostenitori del ‘Sì’.  Ovviamente esiste l’antipatia popolare contro un provvedimento che è stato, ab initio, promosso e personalizzato da Matteo Renzi. I sondaggisti, come dimostrato anche da recenti casi relativi alle previsioni elettorali,  sbagliano le previsioni ed, a pochi giorni dal voto, è impossibile smarcarsi facendo previsioni.  L’esito è fortemente legato al voto degli indecisi. Ad esempio, se i due maggiori organi  d’informazione economica si sono divisi a proposito del referendum costituzionale italiano,  col Financial Times che vede l’Italia fuori dall’Euro in caso di vittoria del ‘No’ e l’Economist che invece sostiene che una vittoria del ‘No’ ed una conseguente caduta di Renzi non sarebbero un dramma per nessuno,  gli analisti finanziari tornano a soffiare sul fuoco. Specialmente i ‘battitori liberi’ come Jim Mellon, uno dei pochi,  tra gli investitori della City,  a sostenere pubblicamente lo scenario Brexit. Intervistato da Bloomberg, Mellon dichiara di ritenere che l’euro sarà la prossima vittima del successo dei populismi che imperversano ovunque nel mondo, e dà all’Eurozona da un anno a cinque anni di vita: ‘La Brexit si confermerà un evento di secondo piano rispetto ai problemi dell’Europa, che stanno diventando sempre più evidenti. Per come si presenta al momento, l’euro è un meccanismo semplicemente molto inappropriato. Gli dò da uno a cinque anni di vita’. L’investitore punta il dito contro le politiche di austerità imposte dai vertici comunitari e la conseguente reazione social-populista dei popoli europei. La Brexit, la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa, l’eventuale vittoria del ‘No’ al referendum costituzionale in Italia, le elezioni in Francia nel 2017: tutti questi fattori potrebbero provocare un caos politico totale nella zona euro,   in vista anche delle elezioni in Germania, previste sempre per il 2017 , allontanando gli investitori dal blocco dell’euro. Dal canto suo Mellon è passato dalla teoria alla pratica: ‘E’ tutto l’anno che mi sono sbarazzato di qualsiasi tipo di bond governativo, anche se ho venduto soprattutto bond italiani. Tutti quelli che partecipano a questi stupidi mercati dei bond dovrebbero sapere che esiste un rischio molto alto legato alla duration. Se si acquista qualcosa che dà zero tassi di interesse per un periodo di tempo molto lungo, alla fine sarà inevitabile pagare le conseguenze in modo molto caro’. Se volessimo usare un termine abusato dagli osservatori finanziari potremmo dire che il referendum è, con le incertezze dell’esito, responsabile di drogare almeno in parte i movimenti sui mercati che interessano il nostro Paese. Di conseguenza si nota un aumento di capitali che veleggiano all’estero, investitori stranieri che vendono con maggiore intensità, il solito spread che si agita. Le concause incoraggiano queste tendenze come il preannunciato rialzo dei tassi in Usa, l’avvento di Trump,  gli interrogativi sui veri orientamenti della Bce,  specialmente in previsione delle elezioni del 2017 in Germania con la Merkel che si ricandida. Pane  per la speculazione che potrebbe costringere a rivedere anche i nostri conti sia pure in modo diverso se prevarrà il ‘Si’,  o il ‘No’. Il mondo della finanza che occupa la scena  ha dalla sua anche le difficoltà del sistema bancario che vede a quanto pare in Mps nuovamente un bersaglio riconoscibile. Meno attenzione c’è invece sulla economia reale.  Oggi il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, e i vertici di Cgil, Cisl e Uil si siederanno intorno a un tavolo per provare dare vita a un contratto che a tre milioni e mezzo di statali  è negato da quasi sette anni e che sarebbe stato probabilmente ancora negato se nel frattempo non fosse arrivata una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato il ‘blocco’ illegittimo. Poi è arrivata un’altra sentenza della Consulta che dichiara illegittima buona parte della riforma della P.A. messa a punto da Marianna Madia per conto di Matteo Renzi, il quale si è immediatamente precipitato ad affermare che questa è la conferma che senza la riforma della Costituzione il paese è paralizzato. La paralisi,  in realtà,   è figlia di una legge evidentemente fatta male perché costruita intorno a una possibilità che ha preso corpo nella sua riforma costituzionale ma non ancora nella vita istituzionale del paese, cioè il ri-trasferimento allo stato di una vasta gamma di poteri che  era stata spostata sulla trincea regionale. Renzi non spiega  che pur in presenza della nuova Costituzione, alcuni pezzi di quella riforma della pubblica amministrazione sarebbero stati spazzati via. La ministra Madia afferma che nell’accordo è prevista una parte economica, gli aumenti medi di circa 85 euro, e una parte normativa per modificare alcuni istituti, come la valutazione o il salario accessorio, ma dopo la sentenza: ‘Bisogna capire come posso impegnarmi sulla parte normativa, se prima non raggiungo l’intesa con tutte le Regioni’.  Il messaggio è chiaro:  nulla è possibile in questo paese, nemmeno la firma di un contratto  in assenza di una riforma costituzionale. Ovvero,  Il popolo voti ‘Sì’ e l’Italia dal giorno dopo il voto si trasformerà. Ci si aspetta, per converso, che oggi  il traguardo del contratto se non raggiunto, venga almeno avvicinato…

Roberto Cristiano

 

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