Quando la politica si trasforma in arroganza

C’è un punto, nella vita di un Paese, in cui la politica smette di essere servizio e diventa spettacolo. Quando il potere non è più un mezzo ma un fine, e chi governa si convince che comandare significhi non dover più rendere conto a nessuno. È lì che la politica si trasforma in arroganza. E oggi, in Italia come nel resto del mondo, questa trasformazione è sotto gli occhi di tutti. Nel nostro Paese, la politica sembra essersi chiusa in una bolla di autocelebrazione. Ogni decisione è accompagnata da toni trionfali, ogni critica viene derubricata a disfattismo, ogni voce discordante liquidata come frutto di invidia o di ignoranza. La parola “ascolto” è sparita dal vocabolario del potere, sostituita da “ordine”, “disciplina”, “orgoglio”. Dietro la facciata del decisionismo si nasconde spesso l’incapacità di accettare il confronto, la paura del dissenso, la presunzione di infallibilità. L’arroganza si manifesta nei provvedimenti imposti dall’alto, nelle conferenze stampa che sembrano comizi, nei toni paternalistici di chi parla “agli italiani” come a sudditi, non a cittadini. E il Parlamento, ridotto troppo spesso a semplice cassa di risonanza del governo, sembra aver dimenticato la propria funzione di controllo e rappresentanza. Non serve fare nomi: basta ascoltare. L’arroganza politica ha un suono preciso — quello della voce che non ammette repliche.Ma l’Italia non è sola in questa deriva. Dall’altra parte dell’oceano come nel cuore d’Europa, l’arroganza del potere si è fatta linguaggio globale. Leader che costruiscono consenso sulla paura, che dividono invece di unire, che trasformano il dibattito democratico in una gara di insulti e sospetti. La scena internazionale pullula di capi che confondono la fermezza con la prepotenza, la forza con la chiusura, la guida con il culto della propria immagine. E intanto, i problemi veri — la povertà, il lavoro, la crisi climatica, le guerre — restano sullo sfondo, sacrificati al bisogno ossessivo di visibilità. Il dramma è che l’arroganza, quando si insinua nella politica, diventa contagiosa. Disabitua i cittadini al dialogo, alimenta sfiducia e rassegnazione, trasforma la partecipazione in stanchezza. La democrazia, lentamente, si svuota: resta la forma, ma perde la sostanza. E il silenzio dei cittadini diventa la più comoda delle alleanze per chi governa senza ascoltare. La politica dovrebbe essere il luogo del dubbio e del confronto, non del narcisismo. Governare non significa avere sempre ragione, ma avere il coraggio di mettersi in discussione. Solo chi sa ascoltare può guidare. Chi invece parla dall’alto, con la voce di chi non sbaglia mai, finisce per confondere la leadership con la vanità. E quando la vanità diventa sistema, la politica — quella vera — muore.

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