Proteste no-Trump. Hillary Clinton: perso per colpa dell’Fbi

Circa 200 persone sono state arrestate a Los Angeles nella terza notte consecutiva di proteste contro Donald Trump presidente. A marciare fino alla City Hall sono state 3000 persone, molte con bandiere americane o cartelli con la scritta ‘Not my president’, diventato lo slogan del movimento di contestazione che promette di scendere in strada anche nel weekend in varie città americane.

Un uomo è rimasto ferito da un colpo di pistola sparato durante le manifestazioni anti-Trump a Portland, nell’Oregon.  Le forze dell’ordine hanno quindi sollecitato i cittadini a lasciare immediatamente la zona e ha invitato gli eventuali testimoni a farsi avanti. Secondo quanto riferiscono i media americani, il colpo sarebbe stato esploso mentre i manifestanti attraversavano il ponte Morrison. E’ stata la terza notte consecutiva di proteste in Usa contro Donald Trump presidente. Marce e sit-in sono in corso in varie città americane, da Miami a Filadelfia, da Columbus a New York, nei pressi della Trump Tower, dove abita il tycoon. In alcuni casi i manifestanti hanno bloccato temporaneamente alcune strade ma finora senza incidenti. Lo slogan è sempre lo stesso: ‘Not my president’. Sono oltre 200 gli arresti.

Hillary Clinton attribuisce la sua sconfitta al direttore dell’Fbi James Comey e in particolare alla sua seconda lettera al Congresso, ad appena tre giorni dal voto. Lo ha detto la stessa Hillary in una conference call  con i maggiori contributori della sua campagna, secondo quanto riferisce Politico.com. Per Hillary è stata proprio quella lettera di ‘assoluzione’ ad aver fatto più danni ancora della prima, quella del 28 ottobre, quando Comey comunicò al Congresso la riapertura delle indagini sull’emailgate. Perché la seconda lettera ha risvegliato gli elettori di Trump.

Rinegoziare o ritirarsi dall’ accordo commerciale Nafta tra Usa-Canada-Messico, rinunciare all’accordo transpacifico (ttp), dare mandato al segretario al Tesoro di etichettare la Cina come manipolatore valutario, deportare gli oltre due milioni di immigrati illegali criminali e cancellare i visti con i Paesi che non se li riprendono: sono alcuni dei 18 punti del “contratto di Donald Trump con l’elettore americano”, da realizzare nei primi 100 giorni di presidenza per rendere l’America ‘great again’.

 Trump, eletto alla Casa Bianca dopo una campagna contro il potere corrotto e la sua collusione con le lobby, sta riempiendo il suo team per la transizione con consulenti aziendali e lobbisti. Professionisti che arrivano dalle stesse industrie per le quali sono chiamati a definire le basi regolatorie. Il Nyt fornisce alcuni esempi: Jeffrey Eisenach, che ha lavorato come consulente per Verizon e altri clienti delle tlc, è il capo della squadra che sta aiutando a selezionare i membri per la commissione federale delle comunicazioni; Michael Catanzaro, un lobbista con clienti come Devon Energy ed Encana Oil and Gas, ha in mano il portafoglio per l’indipendenza energetica; Michael Torrey, un lobbista che dirige un’azienda che ha guadagnato milioni di dollari con player dell’industria alimentare come American Beverage Association e Dean Foods, sta contribuendo a definire il nuovo team del dipartimento dell’agricoltura. Un primo segno, secondo i detrattori di Trump, che non riuscirà a rispettare tutte le sue promesse. Figli, parenti e lobbisti nel transition team, con possibili conflitti di interessi personali e pubblici: parte col piede sbagliato il presidente eletto Donald Trump muovendo i primi passi nel cammino che il 20 gennaio lo porterà al giuramento per la Casa Bianca. Per tutta la campagna elettorale il tycoon aveva promesso che, in caso di elezione, avrebbe affidato il suo variegato impero economico ad un ‘blind trust’ gestito dai tre figli più vecchi, Donald Jr, Ivanka ed Eric. Il vero blind trust è quello in cui gli asset di una persona sono controllati da parti terze, indipendenti, non in contatto con il proprietario, quindi ‘cieco’, ma quello disegnato da Trump ha un occhio aperto e uno chiuso, visti i legami famigliari. La decisione, confermata giovedì, è apparsa ancora più controversa il giorno dopo, quando gli stessi tre figli sono stati inclusi nel team della transizione, insieme al marito di Ivanka, Jared Kushner, uno dei suoi consiglieri più influenti. In questo ruolo i tre figli avranno voce nella scelta delle persone da mettere nei posti chiave dell’amministrazione, comprese le autorità regolatorie le cui decisioni possono avere conseguenze sulle varie attività del magnate. Un doppio ruolo che ha fatto storcere il naso a molti: media, esperti, mentre i democratici sono rimasti silenti. ‘Una dimostrazione di quanto sia inappropriato il loro ruolo nel mediare tra Trump come businessman e come politico’, ha osservato Meredith McGehee, consulente del Campaign legal center, che monitora la legalità del settore finanziario anche nelle campagne elettorali. ‘Se i figli gestiscono il cosiddetto blind trust e ricoprono anche qualche funzione governativa, formalmente o informalmente, questo aggraverà potenziali conflitti di interesse e questioni etiche causate dalla mancata separazione tra il suo business e le sue funzioni’ come presidente, le ha fatto eco Kenneth Gross, un’esperta di legislazione politica contattata dal Washington Post. La questione di quanto sia realmente ‘blind’ (cieco) il trust non è nuova. Nel 2012, ad esempio, il candidato presidenziale repubblicano Mitt Romney fu criticato per aver affidato i suoi asset ad un trust gestito dai suoi vecchi colleghi alla Bain Capitol. Anche Hillary Clinton è stata più volte attaccata per i presunti conflitti di interesse della Fondazione di famiglia quando era segretario di Stato. Problemi che si sarebbero riproposti se fosse stata eletta e avesse lasciato la figlia Chelsea a dirigerla. Trump deve fronteggiare non solo le accuse di un possibile conflitto di interesse, come a suo tempo Silvio Berlusconi, cui è spesso paragonato, ma anche quelle di aver riempito il suo team per la transizione, dopo una campagna contro il potere corrotto e la sua collusione con le lobby, di consulenti aziendali e lobbisti. Un altro segnale che dice  che non riuscirà a rispettare tutte le sue promesse e che dovrà venire a patti con quell’establishment ‘corrotto’ che aveva vituperato in campagna elettorale.

La bandiera americana bruciata

 

Un fiero oppositore di Trump, Michael Moore, il regista premio Oscar nel 2003 per ‘Bowling for Columbine’, è riuscito ad entrare con una sua troupe prima di essere bloccato dal Secret Service. Anche a Washington, la capitale, ci sono stati rulli di tamburo, con oltre 200 persone radunatesi davanti a Capitol Hill urlando ‘Not my president’, ‘No Trump, no Kkk, no Fascist Usa’. Ed è proprio a Washington che il movimento ha convocato una grande protesta di fronte al Campidoglio il giorno del giuramento di Trump, il prossimo 20 gennaio. ‘Unitevi a noi il giorno dell’investitura per far sentire la vostra voce. Ci rifiutiamo di riconoscere Trump come presidente degli Stati Uniti e ci rifiutiamo di prendere ordini da un governo che mette gli intolleranti al potere’, si legge su Facebook. A Chicago la folla era composta anche da famiglie e bambini, che cantavano ‘No odio, No paura. Gli immigranti sono benvenuti’.  Pianti di bambini viziati, ha comentato l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, uno dei fedelissimi di Trump, gettando altra benzina sul fuoco.

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