‘Le primarie del Pd si terranno il 30 aprile dalle ore 8 alle ore 20’, ha annunciato il presidente della commissione per il congresso e vicesegretario dem Lorenzo Guerini, intervenendo alla direzione dem, che ha approvata la proposta, contenuta nel regolamento congressuale, con 104 sì, 3 no e 2 astenuti. Le candidature per la corsa alla segreteria potranno essere presentate entro le ore 18 del 6 marzo, mentre il 7 maggio si terrà l’eventuale ballottaggio o l’assemblea nazionale per la proclamazione del nuovo segretario del partito.
LA DIREZIONE DEL PD
La convergenza sul 30 aprile indica che è stata trovata una mediazione con la minoranza che chiedeva pù tempo. Resta però Gianni Cuperlo: ‘E’ stato commesso un errore rispetto allo sforzo collettivo che avrebbe dovuto fare un gruppo dirigente. Esprimo qui la mia convinzione, e il mio voto conseguente, che prevedeva una tempistica diversa’. Polemico anche Francesco Boccia, che ha chiesto l’allungamento per i tempi d’iscrizione al partito: ‘Lasciare il limite del 28 febbraio per il tesseramento è una effettiva forzatura’.
La scelta di fare le primarie del Pd il 30 aprile risolve un problema non banale: si chiude così definitivamente il dibattito sul voto politico a giugno, perché le procedure per attivare un percorso elettorale sono minimo di 45 giorni, e non posso pensare ad una crisi politica durante il congresso, ha detto Piero Fassino.
‘Nelle condizioni date, è una scelta giusta. Con le primarie a maggio e la proclamazione del segretario si sarebbe arrivati a ridosso delle amministrative’, ha commentato Andrea Orlando. Il Guardasigilli, in lizza alle primarie, ha però escluso la possibilità, in caso di vittoria, di correre anche come premier: ‘Nel momento in cui, dopo dicembre, il sistema maggioritario è venuto meno, è sempre più difficile che il segretario del partito di maggioranza relativa sia anche il premier. Per i limiti che mi riconosco non sarei in grado di fare le due cose contemporaneamente e penso sia giusto pensare ad altre figure in grado di guidare il governo ma anche tenere insieme la coalizione’.
Per la segreteria si profila una corsa a quattro. Oltre all’ex premier e segretario uscente Matteo Renzi e al ministro Orlando, ci sono Michele Emiliano e la coordinatrice torinese dei Moderati Carlotta Salerno.
Il 30 aprile è una data che rappresenta un nuovo patto tra Matteo Renzi e i suoi principali sponsor nel Partito Democratico: Dario Franceschini e Piero Fassino. Il segretario uscente ha perso la partita sui tempi e si prepara al congresso senza lo schema di gioco che ha avuto finora: quello del controllo totale del partito.
Voleva tenere le primarie il 9 aprile, per non dare tempo agli avversari di organizzarsi: al pugliese Michele Emiliano, la torinese Carlotta Salerno, il ligure Andrea Orlando, di fatto il più temuto da Renzi. Ma ha dovuto cedere alla pressione di Fassino e di Franceschini di tenere l’assise un po’ più in là, il 23 aprile: per mettere in sicurezza la legislatura, chiudere definitivamente la finestra elettorale per il voto a giugno. La protesta di Emiliano e poi di Orlando ha spinto la data al 30 aprile, definitiva, approvata all’unanimità nella riunione fiume della commissione congresso, discussioni infinite e litigi.
Il 7 maggio sarà un’assemblea nazionale a proclamare il segretario votato dalle primarie, come da regolamento. Il 9 aprile si terrà la convenzione programmatica che ratificherà il voto dei circoli ed escluderà dalle primarie il candidato che non ha raggiunto il 15 per cento dei voti. Entro il 6 marzo vanno presentate le candidature ufficiali, entro il 10 aprile vanno presentate liste a sostegno di ogni candidato.
I sondaggi del Nazareno danno Renzi in netto vantaggio su Orlando ed Emiliano, i principali avversari. Eppure da quando il Guardasigilli è sceso in campo, l’ex premier tende a misurarsi con lui, in qualche modo ne teme la forza nel partito. Perché Orlando è un ex Ds, ‘figlio’ ed erede di quella storia, uno che riesce a interrogare gli ex Pci che finora hanno appoggiato Renzi, da Anna Finocchiaro a Marco Minniti, uno che va a solleticare lo stesso patto fondatore del Partito Democratico e che stuzzica la voglia che c’è nel Pd di contare di più rispetto al segretario.
Insomma, pur sentendosi in vantaggio, Renzi è costretto a misurarsi con uno schema di gioco che non gli assegna il dominio assoluto del partito. E’ certo che se alle primarie sarà eletto con meno del 50 per cento dei voti, saranno i delegati dell’assemblea nazionale ad eleggere il segretario e a quel punto è tutto da vedere. Certezze non ce ne sono per nessuno.
Il Governo Gentiloni nel momento in cui si costituiranno i gruppi scissionisti, e che si noterà che al Senato quel gruppo sarà decisivo per la maggioranza, avrà almeno in parte cambiato natura. Da Governo basato su una maggioranza diventerà Governo di minoranza. Cosa che potrebbe mettere a rischio l’approvazione della legge di stabilità in autunno: ‘Qualora non vi fosse prima uno scioglimento anticipato, il Governo aprirebbe la sessione di bilancio in autunno niente affatto sicuro di portare a casa il risultato…’.
L’unica certezza è che al massimo entro il 7 maggio il Pd avrà eletto il segretario.
Moreno Manzi