Piano europeo per Ucraina, ideato da Starmer e Macron

Il primo ministro britannico Keir Starmer ha messo sul tavolo una strategia che trasforma l’Europa da spettatrice in finanziatrice ufficiale del conflitto ucraino. Il vertice di Londra, con i rappresentanti di 16 Paesi euroatlantici, ha prodotto una bozza franco-britannica che si propone di aumentare il peso dell’Europa sul campo e, allo stesso tempo, alleggerire quello degli Stati Uniti. Un piano che prevede più soldi, più armi e un’eventuale coalizione ristretta pronta a muoversi senza aspettare il via libera di Washington.

Starmer ha convocato quindici alleati atlantici nella Lancaster House, Italia inclusa, per ribadire che l’Ucraina non verrà lasciata a sé stessa. Non una questione di altruismo, ma di puro calcolo: se Kiev crolla, i costi per la sicurezza del Vecchio Continente salgono alle stelle. L’Europa si è svegliata dal torpore strategico conscio che il tempo del supporto illimitato da Washington è alla fine ed gli sgoccioli ed ora la guerra la pagano gli europei, in tutti i sensi.

Starmer ha rilanciato l’idea di un’Europa meno spettatrice e più azionista nel conflitto ucraino. Tra le mosse annunciate, la proposta franco-britannica di una tregua di un mese, che fermerebbe i bombardamenti dal cielo, dal mare e sulle infrastrutture strategiche. Macron ha fatto sapere a Le Figaro che i contatti sono avviati, ma non sarà una passeggiata.

Tutto si gioca su quattro assi: armi e soldi per Kiev, uno stop ai combattimenti come premessa per un’intesa, la garanzia della sovranità ucraina e un sistema di deterrenza per dissuadere Mosca da nuove scorribande. “Abbiamo concordato – ha detto Starmer – che Londra e Parigi, con il possibile coinvolgimento di altri Stati, sviluppino un piano da sottoporre agli Stati Uniti. Nessuno è escluso, ma serve velocità e pragmatismo”, con la nascita di una “coalizione di volenterosi” che agisca senza aspettare il benestare di tutti. In pratica un club ristretto di chi vuole metterci faccia e portafoglio.

Londra stacca un altro assegno per Kiev: 2 miliardi di euro per la difesa aerea, un’iniezione di missili per tenere in piedi il sistema di protezione ucraino. Nel pacchetto ci sono 5.000 ordigni, una pioggia di ferro che servirà a blindare le infrastrutture critiche. Starmer ha spiegato che il piano serve a dare all’Ucraina margine nei negoziati futuri, evitando di sedersi al tavolo con il cappello in mano.

Ursula von der Leyen ripete che l’Europa deve attrezzarsi meglio, mentre Giorgia Meloni fa da equilibrista: conferma l’importanza dell’asse con gli Stati Uniti, ma senza entusiasmo per l’idea di un contingente europeo in Ucraina. Nell’incontro con Zelensky ha però ribadito la vicinanza dell’Italia all’Ucraina. Dalla Polonia, Donald Tusk si accoda, chiedendo un summit d’emergenza tra Unione Europea e Stati Uniti, nella speranza che l’Atlantico non si allarghi più di quanto già non stia facendo.

Per Mosca ha risposto Serghei Lavrov che ha liquidato l’idea di un contingente occidentale in Ucraina come l’ennesima “arroganza” europea, buona solo a tenere vivo il conflitto. “Macron e Starmer parlano di migliaia di peacekeeper con copertura aerea. Una follia”, ha sbottato il ministro degli Esteri russo sulle colonne di Krasnaya Zvezda.

Se Trump dovesse rientrare in gioco, Mosca sarebbe pronta a trattare su basi nuove, magari con qualche concessione in cambio di un ridimensionamento del sostegno americano a Kiev.
Dopo il faccia a faccia al veleno tra Trump e Zelensky nello Studio Ovale, il messaggio degli Stati Uniti è arrivato forte e chiaro: Kiev può prepararsi a sedersi al tavolo con Mosca o farsi da parte. Gli americani non hanno intenzione di dilapidare risorse all’infinito per un conflitto che non hanno più voglia di sostenere alle stesse condizioni.

Mike Johnson, speaker della Camera, è andato oltre, lasciando intendere che Zelensky dovrebbe iniziare a pensare a un passo indietro se continua a rifiutare l’accordo sulle risorse minerarie, considerato un tassello essenziale per qualsiasi intesa di pace. Anche Marco Rubio, una volta tra i più filo-ucraini del Congresso, non nasconde più l’irritazione per l’atteggiamento del presidente ucraino, accusato di frenare gli sforzi diplomatici.

Zelensky, ha definito gli Stati Uniti un “partner strategico” e giura che la collaborazione andrà avanti, ma la realtà è più complessa. Ricorda che la leadership ucraina spetta agli ucraini e si aggrappa a un vecchio impegno: in passato si era detto disposto a lasciare il potere in cambio dell’ingresso nella Nato.

Viktor Orban da Budapest rilancia l’idea che l’Europa stia scegliendo di allungare il conflitto invece di cercare una soluzione. “Hanno deciso che l’Ucraina deve continuare la guerra. È una scelta pericolosa e sbagliata. L’Ungheria resta dalla parte della pace”, ha sentenziato su X.

L’Ucraina fuori dalla Nato è l’unico punto fermo degli imminenti negoziati, e lo è da mesi. Gli Usa si sono lanciati nella guerra per procura contro la Russia e quest’ultima ha invaso il Paese confinante proprio perché entrambe le potenze non volevano una Kiev atlantica.

In questa vicenda c’è una sola realtà: i veri negoziati per una tregua si possono svolgere soltanto tra Russia e Stati Uniti.

Oggi ci troviamo in periodo storico in cui Usa, Cina e Russia hanno gravi problemi interni e troppi fronti aperti. C’è però un grande motivo strategico che ha spinto Washington ad accelerare per i negoziati russo-ucraini: il rischio sempre più reale che Mosca diventi preda della più potente Pechino. Se la Repubblica Popolare cinese dovesse approfittarsi di una Russia sconfitta o umiliata all’estero, e dunque probabile vittima di una rivoluzione interna, arriverebbe forte di risorse, grano e idrocarburi russi alla grande partita per l’egemonia finale.

Con Trump alla Casa Bianca, gli Usa in crisi e un’Europa in cerca di identità, Vladimir Putin ha colto il momento propizio per scendere a patti con Washington. Perché, sì, i veri negoziati per l’armistizio, di certo non pace, i russi sono disposti a farli solo con gli americani. Con Kiev e Bruxelles a origliare fuori dalla stanza.

La vera partita del dopoguerra ucraino si gioca sulla sicurezza. Con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, gli Usa hanno però istituzionalizzato la volontà di volersi disimpegnare in termini materiali dal supporto militare al Paese invaso. Scaricando di conseguenza l’onere pratico ed economico di proteggere fisicamente l’Ucraina sulle spalle degli Stati Ue. Ma questi ultimi non hanno affatto una linea comune, figurarsi se possono dotarsi di una difesa comunitaria.

A ribadire la distanza di vedute con l’Europa è il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz, uomo chiave all’interno del cerchio magico di Trump, che ha messo sul tavolo la possibilità di un cambio di governo a Kiev, esclusa invece con forza da tutti gli altri rappresentanti della coalizione occidentale. Intervistato dalla Cnn Waltz ha affermato che “abbiamo bisogno di un leader che possa trattare con noi ed eventualmente possa trattare con i russi e porre fine a questa guerra. Se dovesse diventare chiaro che le motivazioni personali o politiche di Zelensky divergono dall’obiettivo di porre fine ai combattimenti, allora avremmo un serio problema”.

“Questa guerra deve finire e ciò richiederà concessioni territoriali”, ha detto Waltz che, incalzato sull’argomento ha menzionato “una qualche forma di concessione territoriale” a favore dei russi “in cambio di garanzie di sicurezza” per gli ucraini citando l’invio sul campo di truppe di paesi europei come Regno Unito e Francia. Il consigliere per la Sicurezza nazionale ha dichiarato che sarà il Vecchio Continente “ad occuparsi della sicurezza in Ucraina” dopo l’accordo che dovrebbe porre fine al conflitto rimarcando che “è prematuro parlare del ruolo degli Stati Uniti”. Nelle ultime ore Waltz ha definito il presidente ucraino come “un’ex fidanzata che vuole solo litigare”.

A non restare in silenzio è invece Elon Musk che, dopo aver citato sul suo social X un post a favore del ritiro degli Stati Uniti dalla Nato e dall’Onu, ha dichiarato che il presidente ucraino “si è autodistrutto davanti agli occhi del popolo americano”. Popolo che, stando ad un sondaggio condotto dalla Cnn a metà febbraio, ha espresso la sua disapprovazione per l’operato del commander in chief con un margine del 52% contro il 48%. Una valutazione su cui avrà pesato la campagna di tagli draconiani promossa dal Doge guidato dall’imprenditore sudafricano che, sino alla debacle diplomatica sul Potomac, aveva monopolizzato l’attenzione dei media negli States oscurando il ruolo dello stesso Trump.

Gli sberloni che ha preso Zelensky alla Casa Bianca da Trump e dal suo Vice rimarranno nella storia. Questa è la fine che fanno i fantocci Usa quando non obbediscono più a chi li ha creati. L’ennesima lezione di storia anche se Kissinger, a suo tempo, lo aveva detto chiaro e forte: “Essere nemici degli USA può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”.
Perché se è vero che l’accordo proposto dagli Usa è un furto con scasso delle terre rare ucraine, è altrettanto vero che Zelensky come negoziatore e come spessore politico è il nulla assoluto. Purtroppo è stato abituato così, ad avere qualsiasi cosa, a essere acclamato in tutte le tv e in tutti i giornali. È ancora convinto che abbia qualche parola in capitolo nonostante abbia perso senza appello la guerra.
Nell’incontro alla Casa Bianca gli veniva detto testualmente: “Zelensky, negozia subito perché più vai avanti e più si avvicina il tuo patibolo”.

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