Il cantiere pensioni riserva altre due novità che potrebbero entrare a far parte del pacchetto previdenza della legge di Bilancio 2019: una penalizzazione economica  per chi andrà in pensione in anticipo,  con quota 100 e con un assegno superiore ai 1.000-1.500 euro mensili,  e vorrà, però, continuare a lavorare con altri contratti; ma, soprattutto, lo stop del meccanismo che lega età pensionabile e aspettativa di vita a 67 anni, il livello che si raggiungerà l’anno prossimo. Il che vuol dire che ci si fermerà a quella soglia e non ci saranno più gli adeguamenti biennali previsti dalla legge Fornero.

Se sarà confermata l’ipotesi di introdurre ‘quota 100’ in manovra, intesa come somma fissa di età (62 anni) e contributi (38 anni), dal 2019 potranno andare in pensione anche i nati nel 1957 che hanno cominciato a lavorare a 24 anni agli inizi degli anni Ottanta. Anzi, coloro che avranno i requisiti indicati nel 2019 saranno i più avvantaggiati dall’operazione: avranno un anticipo netto di 5 anni secchi rispetto alle condizioni della legge Fornero per la pensione di vecchiaia (67 anni dal 2019). Fortunati anche i nati nel ’56 (4 anni di anticipo), nel ’55 (3), nel ’54 (2), negli ultimi mesi del ’53 (un anno). Sempre che si raggiungano comunque i 38 anni di contributi: se la soglia dovesse scendere a 37 o 36, i conti cambiano per tutti.

 ‘Quota 100’ dovrebbe favorire allo stesso modo uomini e donne. Ma in concreto, se la soglia dei contributi verrà fissata a 38 anni (o, in misura minore, a 37 o 36), saranno in larga maggioranza gli uomini a beneficiarne. Le lavoratrici nate tra il ’53 e il ’57, che nel 2019 potranno vantare 38 anni di versamenti, sono una minoranza e concentrate nel pubblico impiego. Tra entrata ritardata nel mercato del lavoro e interruzioni prolungate, il rischio di arrivare a 62 anni senza contributi utili a uscire è elevato. Da qui l’ipotesi, per ora rinviata alla manovra per il 2020, di reintrodurre ‘opzione donna’, che ha permesso di lasciare il lavoro anche con 35 anni di attività. È da vedere se verrà inserito lo sconto di 6 mesi per ogni figlio, fino a un massimo di tre.

La cosiddetta ‘quota 41’, la possibilità di lasciar il lavoro al raggiungimento dei 41 o 41,5 anni di attività, a prescindere dall’età, per ora è ferma al palo. È probabile che per il 2019 non verrà introdotta: saranno bloccati coloro che hanno cominciato a lavorare nel ’77-’78 e raggiungeranno i 41 anni di versamenti nel corso del 2019. In compenso dovrebbe essere bloccato l’aumento dell’aspettativa di vita di 5 mesi per le pensioni anticipate previsto per il 2019. In pratica si potrà continuare ad andare in pensione indipendentemente dall’età, con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 mesi per le donne) invece che 43 anni e 3 mesi o 42 anni e 3 mesi. Lo sconto di 5 mesi agevolerà l’uscita di coloro che hanno cominciato a lavorare nel ’76 e nei primi mesi del ’77. Per quota 41 si dovrà attendere la manovra del 2020.

L’aumento delle minime a 780 euro dovrà essere definito nei dettagli. La prima platea interessata saranno i pensionati che avrebbero diritto al reddito di cittadinanza. Se nel novero delle prestazioni si considerano anche quelle assistenziali, si superano i 4,5 milioni di trattamenti, per un’operazione da oltre 10 miliardi. Ma lo scenario è diverso se si guarda al piano originario M5S, per famiglie con reddito sotto la soglia di povertà.