Pensioni, i giovani via dal lavoro a 71 anni? Tre proposte per cambiare Quota 100 e la Forner

Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali
Rimodulare Quota 100 e la flessibilità

Risolvere quota 100 non sarà facile per una serie di motivi che ora elencheremo ma lo si deve fare per correggere i tre macro problemi creati dalla riforma Monti/Fornero e cercare, con il contributo del Cnel, delle parti sociali e se possibile con un accordo bipartisan, di fare una riforma definitiva almeno per i prossimi 10 anni con verifiche quinquennali, per dare certezze e serenità a tutti gli italiani.

I vincoli

Vediamo prima di tutto i vincoli: 1) proporre una soluzione che faccia come somma meno di 100 sarebbe da un lato politicamente dirompente e comunicativamente pericoloso; 2) se da un lato è necessaria la flessibilità in uscita (età di pensionamento) dall’altro ci sono pressanti vincoli per i già malmessi conti pubblici; 3) non sarebbe equo che tutti i problemi relativi a lavoratori con particolari problemi di salute ma non invalidi, di famiglia e di faticosità del lavoro, vengano scaricati massicciamente sulla collettività (come fa l’Ape sociale) con enormi costi; 4) prevedere, come suggeriscono taluni, età di pensionamento legate alla tipologia dei lavori sprofonderebbe l’Italia in una nuova “giungla” pensionistica che siamo riusciti a smantellare in vent’anni.

Stesse regole e stesse protezioni

Se questi sono i vincoli dobbiamo però risolvere i guasti della Fornero; sostanzialmente sono tre: a) l’uomo non è una scatola di pelati che scade a una data precisa (67 anni adeguati alla speranza di vita, non un giorno prima!); occorre quindi una flessibilità anche perché a partire dal 2022 oltre il 95% dei potenziali pensionati avranno almeno il 70% della pensione calcolata con il metodo contributivo quindi prima si esce meno pensione si prende e viceversa; b) adeguare l’anzianità contributiva alla aspettativa di vita è un unico nel panorama dei Paesi industrializzati ed è anche un errore da segnare in rosso; nell’arco di pochi anni si arriverebbe a 45 anni di lavoro se non si hanno i 67 anni, con un potenziale di incostituzionalità perché si consentirebbe la pensione a 67 anni di età con solo 20 di contributi mentre a uno sfortunato che ha iniziato a lavorare a 17 anni si richiederebbero più del doppio degli anni di lavoro; c) la Fornero ha nei fatti spaccato in due la platea dei lavoratori: da un lato i “protetti” cioè i retributivi e misti che pur con i limiti di rigidità sopra elencati hanno due vie d’uscita per la pensione: età e anzianità; inoltre beneficiano, in caso di pensioni modeste dell’integrazione al minimo o della maggiorazione sociale di cui oggi godono quasi 5 milioni di pensionati; dall’altro i contributivi puri che possono andare in pensione a 64 anni di età e 20 di contributi ma devono aver maturato una pensione che a valori attuali è pari a 1.300 euro. Come si può procedere? Per prima cosa occorre prevedere le stesse regole e le stesse protezioni per le due platee di lavoratori il che significa regole uguali e estensione dell’integrazione al minimo anche ai contributivi cioè a quelli che oggi con i loro contributi finanziano gli assegni degli attuali pensionati.

Il fattore tempo

Questa prima proposta, in prospettiva cioè dal 2036, data in cui inizieranno a pensionarsi i contributivi puri, ha certamente un costo sia per l’introduzione dell’integrazione al minimo (eliminata dalla riforma Dini), sia per l’anticipo del pensionamento equiparato agli altri lavoratori. Abbiamo però un grande vantaggio: il tempo! Per cui si potrebbe prevedere, a partire dal prossimo anno, un fondo per le pensioni contributive accantonando 500 milioni l’anno; insomma un fondo per le giovani generazioni al fine di mitigare gli effetti economici e demografici che avremo in Italia fino al 2045. Avremmo un fondo di dotazione di oltre 15 miliardi per sostenere le pensioni di quelli che hanno iniziato a lavorare dal 1/1/1996.

L’uscita: liberi di andare in pensione a 71 anni?

La seconda modifica riguarda la flessibilità in uscita che si ottiene in due modalità: anzitutto ripristinando la flessibilità prevista dalla riforma Dini/Treu, per tutti i lavoratori prevedendo l’accesso alla pensione a 64 anni di età, adeguata alla speranza di vita e 37/38 anni di contributi (quota 101/102 adeguata), con non più di due o tre anni di contribuzione figurativa per premiare il lavoro (nei figurativi sono escluse maternità e contribuzioni volontarie); chi vuole potrà lavorare, con il consenso del datore di lavoro se dipendente, fino a 71 anni e tra i 66 e i 71 anni potrebbe scattare il super bonus contributivo (contributi netti in busta paga quindi più 40/50% del reddito netto). La seconda modalità di uscita è costituita dai fondi di solidarietà ed esubero già sperimentati in modo ultra positivo da banche, assicurazioni, esattorie e poste dal 2000; in pratica si tratta di applicare le norme dell’Ape sociale e consentire l’accesso al fondo esuberi con 5 anni di anticipo rispetto all’età legale oggi fissata a 67 anni e con 35/36 anni di contribuzione; in pratica una quota 97/98, pagata integralmente da aziende e lavoratori  attraverso l’attuale versamento dello 0,30% sui redditi lordi, gestita in autonomia da sindacati e imprese attraverso non più di una decina di fondi (oggi sono oltre 109). A carico dello Stato rimarrebbero i casi più difficili.

La speranza di vita

La terza azione è il blocco dell’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per i maschi e un anno in meno per le femmine, eliminando l’adeguamento alla speranza di vita. Per le donne madri, sulla scorta della Dini si potrebbe prevedere uno sconto di 8 mesi per ogni figlio con un massimo di tre, mentre per i precoci una riduzione di un quarto di anno per ogni anno lavorato prima del compimento dei 20 anni. Certo 62 anni di età per tutti o quota 41 come propone la Lega, sarebbero più favorevoli per i lavoratori ma significherebbe compromettere seriamente il nostro ottimo sistema pensionistico che è in equilibrio grazie ai due stabilizzatori automatici che solo l’Italia ha. Basta solo un poco di buon senso e buona volontà.

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