Pensioni e rivalutazione

 Il verdetto che oggi la Corte costituzionale emetterà sulla rivalutazione delle pensioni vale dai 16 ai 20 miliardi di euro. Ma con ogni probabilità questa volta la Consulta salverà i conti pubblici italiani dalla nuova voragine: l’orientamento dei giudici, a meno di colpi di scena nel voto finale, sempre possibili, è quello di bocciare in tutto o comunque in larga parte i dodici ricorsi presentati contro il decreto legge del governo Renzi del 2015 che prevedeva un rimborso parziale per il blocco dell’adeguamento degli assegni al costo della vita. E sempre oggi sarà resa pubblica anche la decisione dell’Istat sull’aumento dell’aspettativa di vita e sul conseguente incremento dell’età pensionabile: se l’innalzamento sarà verosimilmente di 5 mesi, dal 2019 si dovrà andare in pensione di vecchiaia a 67 anni di età.

 All’origine della vicenda c’è il blocco, deciso dal governo Monti, dell’adeguamento per il 2012-2013 dei trattamenti di importo mensile superiore a tre volte al minimo Inps (1.442 euro lordi): la norma è stata dichiarata incostituzionale nella primavera del 2015 dai giudici costituzionali.

Spetta il 100% solo alle pensioni fino a 3 volte il minimo Inps; il 40% agli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, il 20% a quelli tra 4 e 5 volte e il 10% a quelli tra 5 e 6 volte, zero euro a chi percepisce un assegno oltre 6 volte il minimo. Con l’aggiunta di un meccanismo di ‘consolidamento’ parziale degli effetti di tali arretrati negli anni seguenti 2014 e 2015. Il tutto per una spesa complessiva di soli 2,8 miliardi di euro. In pratica, ai 5,2 milioni di pensionati interessati dal vecchio blocco, sono andati importi che oscillano tra lo zero e il 21 per cento di quanto spettante. Con una sorta di trascinamento permanente del mancato adeguamento che comporta minori incassi compresi tra 90 e 330 euro mensili (per le pensioni sopra i 6.000 euro mensili lordi).

Contro il decreto Poletti e la previsione di un risarcimento parziale sono stati presentati dodici ricorsi alla Corte. Due i filoni: l’esclusione dalla rivalutazione per chi ha assegni 6 volte il minimo e la rivalutazione non integrale per gli altri trattamenti pensionistici. Ora, se la Corte scegliesse di nuovo la via dell’ incostituzionalità del provvedimento, si aprirebbe una vera voragine nel bilancio pubblico da almeno 16-20 miliardi di euro.  Pare che l’orientamento della maggioranza dei giudici vada nella direzione della bocciatura dei ricorsi.

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