Pd, confronto su Sky: Bonaccini affidabile, Schlein vaga

Stefano Bonaccini e Elly Schlein hanno entrambi ripetuto, ciascuno col suo linguaggio, che bisogna chiudere con gli anni delle grandi sconfitte e delle risse interne. E provare a cambiare la dinamica attuale della politica italiana. Obiettivo che oggi sembra utopistico ma una scadenza già c’è: le elezioni Europee. Per quell’appuntamento serve un Partito democratio in piedi, chiunque vincerà ai gazebo.

Già, ma chi vincerà? Gli iscritti hanno decretato la forza di Bonaccini (52,8 per cento) mentre Schlein – molto bene a Roma e Milano – ha ottenuto il 34,8 per cento: diciotto punti, trentamila voti in più su 151mila votanti – non esattamente una bazzecola.

Dell’avventura di Gianni Cuperlo (otto per cento) e Paola De Micheli (4,3 per cento) c’è poco da dire, se non forse che il deputato triestino un pochino ha danneggiato Elly. Ma comunque la partita è aperta anche se il governatore dell’Emilia-Romagna è il favorito. Ed è aperta per la semplice ragione che nessuno può indovinare oggi quanta gente si recherà ai gazebo, e di che orientamento saranno. Entrambi sognano il mitico milione di persone, difficile ma non impossibile: un po’ di clima comincia a esserci.

Perché è chiaro che Schlein è più radicale, sul lavoro e non solo, in generale ha una postura “ideologica” molto diversa e finanche lontana dal riformismo emiliano di cui Bonaccini è l’ultimo discendente di un’antica genìa. Sono due profili molto diversi. Bonaccini è stato percepito dagli iscritti come più affidabile, professionale, esperto, e in un partito frastornato dalla batosta del 25 settembre ma pasticcione ormai da anni non è poco.

Ma il dato politico è nella promessa di Elly che il giorno dopo le primarie si lavorerà insieme: non diremo che già c’è un patto di non aggressione per il dopo, ma se Bonaccini vince, come dicono i pronostici, alla giovane Elly un ruolo di primo piano (Presidente? Capogruppo?) non glielo leva nessuno. E forse – forse – a quel punto il Partito democratico si rimette in piedi.

l confronto televisivo tra i due aspiranti alla segreteria del Pd – Stefano Bonaccini e Elly Schlein che domenica prossima si affronteranno nelle primarie – andato in onda  su Sky ha un po’ deluso le aspettative. Il format non era quello giusto: due interviste parallele e un po’ spente anzichè lo scontro diretto tra i due candidati che avrebbe messo meglio in evidenza le differenze. Sul piano dell’atteggiamento generale meglio la Schlein, più sciolta e meno formale, ma sul piano dei contenuti e delle prospettive politiche meglio Bonaccini, che ha fatto pesare tutta la sua esperienza e tutta la sua concretezza.

Con Bonaccini vanno finalmente in soffitta lo sconfittismo e il pessimismo che ha spesso caratterizzato la sinistra italiana, Pd compreso: “Ho già dimostrato di saper vincere e di tenere unito il partito”. Infatti in Emilia-Romagna è andata così: Bonaccini è diventato Governatore sbaragliando la destra e formando una coalizione larga nella quale la Schlein è la sua vice in Giunta. Anche il suo modo di immaginare l’opposizione al Governo è molto chiaro: sarà netta ma non infantile e non dilettantesca.

Sul piano dei contenuti in Bonaccini è prevalsa la sua ispirazione riformista e la sua concretezza, senza concessioni al massimalismo e al populismo: nessuna abiura del Jobs Act, difesa del Reddito di cittadinanza ma correggendolo perché non ha creato posti di lavoro, autonomia differenziata senza spaccare l’Italia in due e appoggio all’Ucraina senza se e senza ma.

Al contrario in Schlein è trionfata la vaghezza: vaghezza sulle alleanze – ma la propensione all’abbraccio ai Cinque Stelle resta l’opzione numero uno – e vaghezza sui contenuti (dal Reddito di cittadinanza da difendere senza se e senza ma alla pace, che sembra trascurare il fatto che senza una vittoria o almeno una non sconfitta ucraina sul piano militare la pace resta una chimera).

A differenza di Bonaccini la Schlein non si è risparmiata i rituali attacchi al Jobs Act di Renzi, dimenticando il fatto che quella riforma ha prodotto un milione di posti di lavoro. “La sinistra deve fare la sinistra” ha reclamato la Schlein ma sotto gli slogan s’è visto poco e la voglia di rottura e di cambiamento non può cancellare il fatto che i maggiori sostenitori della giovane candidata alla segreteria del Pd sono i signori delle correnti (da Franceschini a Zingaretti e a Bettini) che delle recenti sconfitte del partito hanno più di una responsabilità e che sognano l’abbraccio mortale con i Cinque Stelle di Conte.

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