Pd, Bonaccini si candida alla segreteria del partito

Dopo quelli di Paola De Micheli e Elly Schlein, c’è anche il nome di Stefano Bonaccini tra i concorrenti alla segreteria del Partito Democratico, che all’inizio del 2023 andrà a congresso e celebrerà le primarie per la scelta del nuovo segretario. Il Governatore della Regione Emilia Romagna ha ufficializzato la sua candidatura domenica al circolo Pd di Campogalliano. “Mi è parso giusto dirlo prima di tutto a voi e dirlo qui. Agli iscritti del mio circolo, ai compagni e alle compagne. Agli amici del mio Comune. Sono nato proprio qui e ci ho abitato fino a cinque anni”, spiega Bonaccini parlando alla platea.

Bonaccini, pur appartenendo a quell’area riformista che faceva capo a Matteo Renzi e che ha comunque mantenuto una discreta presenza dentro il Pd, non vuole più sentire parlare di correnti. “Non chiederò ad alcuna corrente di sostenermi né vorrò il sostegno di qualsivoglia corrente. Non possiamo più permetterci di selezionare le classi dirigenti attraverso le correnti, basta“. per Bonaccini i gruppi interni al partito che dovrebbero rappresentarne le diverse aree culturali. “Io non mi sono mai iscritto ad una corrente e lo voglio dire ai più giovani: si vive benissimo lo stesso, direi anche meglio. Credetemi, è anche l’unico modo per essere davvero una comunità. Altrimenti perché un volontario dovrebbe montare una festa dell’Unità, fare volantinaggio o partecipare a una manifestazione?”

“Mi ha impressionato vedere tutti i nostri dirigenti candidati nei listini invece che nei collegi uninominali a strappare voto su voto, come fanno i sindaci. Non possiamo selezionare il gruppo dirigente attraverso le correnti. Basta. Questo metodo non seleziona il merito ma la fedeltà, e ci toglie consensi. Io non chiedo il sostegno di nessuna corrente”.

“Io non ho mai fatto parte di correnti – insiste -. Ho coordinato la campagna elettorale in cui Renzi vinse le primarie, ho sostenuto l’elezione di Bersani, ma non sono mai stato della corrente bersaniana o renziana”.

Poi Bonaccini ha voluto insistere sull’orgoglio e l’appartenenza, in un momento in cui il partito che doveva tenere insieme le diverse esperienze riformiste del secolo scorso rischia l’implosione per le divisioni interne e le tentazioni esterne (Dal M5s a sinistra, dal Terzo Polo di calenda e Renzi al centro).

“Sento il peso e la responsabilità” di questa scelta “perché sono consapevole di come il Pd sia necessario per la stessa qualità democratica del Paese, rappresentando ideali e valori alternativi alle posizioni più conservatrici e regressive o alle derive populiste e sovraniste che abbiamo visto scorrazzare non solo qui ma anche in Europa e in tutto il mondo occidentale”, ha sottolineato.

“La cosa che mi preoccupa di più è lo smarrimento della nostra gente – ha detto ancora -, dalla sconfitta sono passati meno di due mesi, da una batosta simile non ci si riprende in poche settimane. Sarebbe illusorio pretenderlo e sarebbe ipocrita prometterlo. Ma sentire evocare lo scioglimento del Pd, mettere in discussioni i motivi per cui siamo nati mi colpisce nel profondo. Non accetto che noi si resti paralizzati sotto i colpi di questa destra che governa o delle altre opposizioni che stanno tentando di dilaniarci. Cosa vogliamo e dobbiamo fare lo decidiamo noi”.

“Non basterà un congresso. Io penso ci aspetti una vera e propria traversata nel deserto. Il nostro compito è far tornare il Pd a essere un grande partito popolare, radicato nella società, a vocazione maggioritaria, perno di un nuovo centrosinistra capace di battere la destra, ma batterla nelle urne alle prossime elezioni”, ha detto ancora. “Sento questa come responsabilità, anche della mia generazione: riportare la prossima volta il Pd al governo, ma perché avremo vinto”, ha sottolineato Bonaccini per il quale “la stagione in cui si sta al governo anche se non si vince è finita e io credo che l’abbiamo anche pagata”.

Infine Bonaccini guarda proprio ai possibili alleati, in questo momento più interessati a dividersi le spoglie di un Pd che punta invece a mantenere unito e vitale, facendone anzi il perno di future alleanze. “Ho il massimo rispetto per le altre forze di opposizione, e una volta che avremo definito meglio la nostra identità ci occuperemo anche di alleanze. Ma non vogliamo delegare ai 5 Stelle di rappresentare loro da soli la sinistra, così come al Terzo Polo di rappresentare loro da soli i moderati”, ha affermato ancora proseguendo: “Il Pd nasce come grande forza popolare di centrosinistra e questo spazio adesso ce lo andiamo a riprendere noi”.

“Agli alleati, anzi ai mancati alleati alle ultime elezioni politiche, Terzo polo e M5s dico che senza Pd non c’è centrosinistra che può battere la destra” – ha chiosato -. “Se si va divisi si perde. Non mi pare sia stato compreso nel Lazio e Lombardia, speriamo di avere più forza in futuro per convincerli”.

E così, dopo settimane di incontri dietro le quinte e dichiarazioni pubbliche, mentre Elly Schlein è ai blocchi di partenza ma non ha ancora sciolto le ultime riserve, il governatore dell’Emilia Romagna rompe gli indugi e il riserbo sulla prognosi. E dal circolo Pd della “sua” Campogalliano annuncia la sua discesa in campo: «Ho deciso di candidarmi alla segreteria del Partito democratico».

Quindi, di fronte all’evidenza di una liquidazione in saldo che grava sulla testa dell’establishment del Nazareno – una situazione di cui Bonaccini sottolinea gli allarmi che «evocano lo scioglimento del Pd. E che mettono in discussione i motivi per cui siamo nati». E che – aggiunge il candidato alla segreteria dem – «mi colpisce nel profondo».

Non vogliamo delegare ai 5 Stelle di rappresentare loro da soli la sinistra. Così come al Terzo Polo di rappresentare loro da soli i moderati», ha affermato ancora. Proseguendo: «Il Pd nasce come grande forza popolare di centrosinistra e questo spazio adesso ce lo andiamo a riprendere noi».

Un discorso, quello di Bonaccini, che arriva a ridosso della giornata dell’Assemblea nazionale del Pd. Un appuntamento nevralgico che avrebbe dovuto rappresentare «il giorno dell’orgoglio Pd». Ma che alla fine si è risolto in un pomeriggio che ha solo slatentizzato e confermato le «difficoltà» dei dem, che Letta ha ammesso, e che sono venute tutte a galla. Persino quelle legate alla necessità di fissare una data per le primarie per cui Letta stesso ha invocato ai suoi una certa “flessibilità” «nel caso in cui la data del voto delle regionali vada a cozzare con quella scelta per le primarie» (entro il 19 febbraio ndr). Ma la coperta del Pd – flessibile a dir poco – tirata da una parte, scopre dall’altra. Specie dopo strappi e sgomitate…

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