Pace fiscale, su depositi all’estero e ‘scudo penale’

Sul ‘giallo’ della pace fiscale si consuma una giornata di scontri a distanza tra i leader del governo gialloverde. Tensioni che rischiano di minare l’impianto di una manovra sulla quale, ieri, arriva il primo richiamo dell’Europa e si abbatte la conseguente reazione dei mercati, con lo spread che arriva a 327.

Così è Conte a tentare di tenere insieme l’esecutivo. Tra 5 Stelle e Lega non c’è ‘nessuna frattura’, assicura il premier, per poi aggiungere: ‘Venerdì sarò a Roma, lo controllerò articolo per articolo e andrà al presidente’. Ma la lite a distanza tra Salvini e Di Maio continua, tanto che dal vertice europeo Conte è costretto a fare la voce grossa e a indire un consiglio dei ministri per sabato mattina. Ma Salvini si dichiara indisponibile, e dietro a lui si accodano tutti gli esponenti del Carroccio, pronti a boicottare il consiglio dei ministri. Solo in serata il ministro dell’Interno ci ripensa: ‘Se serve che Salvini ci sia, Salvini ci sarà’, dice parlando in terza persona.

Di Maio invece andrà volentieri all’incontro, perché ‘serve un chiarimento politico’.

‘Il premier sono io, decido io’, tiene il punto Conte davanti ai capricci del vicepremier leghista. Ma ben informati lo descrivono furente nei confronti dei due vice, fino al punto di mettere sul tavolo la minaccia delle dimissioni, cosa poi smentita da fonti di Palazzo Chigi. Conte sente Di Maio e Giancarlo Giorgetti, luogotenente di Salvini intimando loro di chiarirsi. Ma accuse, veleni, dossier incrociati sono una fiumana inarrestabile.

Per tutta la giornata la Lega digerisce malissimo l’uscita televisiva di Di Maio.  Salvini, che  riduce a tutto a un ‘equivoco’, un punto fermo lo tiene: ‘Il decreto è quello e quello resta, non possiamo approvarlo e modificarlo il giorno dopo. Conferma la linea il sottosegretario all’Economia del Carroccio Massimo Garavaglia: cosa c’era scritto nel provvedimento ‘lo sapevano tutti’.

Ma M5S non molla. Laura Castelli: ‘Prima del Consiglio dei ministri c’è stato un tavolo politico in cui l’accordo raggiunto prevedeva nessun condono penale e niente scudo fiscale sui capitali esteri. Adesso Garavaglia e la Lega ci dicono che approvano una norma che introduce condoni penali e scudi fiscali per capitali all’estero? Allora c’è un problema politico’, incalza la sottosegretaria all’Economia interpellata alla Camera, mentre Riccardo Fraccaro se la prende con i tecnici: ‘Sappiamo che i ministeri e gli uffici sono spesso legati a partiti che hanno governato negli ultimi anni,  a volte ci troviamo delle norme infilate nei testi senza che Lega e 5 Stelle le avessero concordate’.

In diversi – nella Lega ma anche nel Movimento 5 stelle – puntano in realtà  il dito su Laura Castelli. ‎Secondo quanto viene riferito da fonti governative di entrambi i partiti, la vice ministra pentastellata all’Economia sarebbe accusata di mancata efficacia nella gestione della formulazione del decreto: Castelli sostanzialmente non avrebbe compreso appieno il senso, l’impatto e le conseguenze dei provvedimenti condivisi.

Nel M5s la supervisione tecnica del testo era  affidata a Castelli. E in diversi suggeriscono che vi siano state delle mancanze da parte sua. Anche se secondo quanto viene riferito da chi ha parlato con la viceministra Castelli, lei non si considera affatto responsabile, ‘mica scrivo io le norme’ ha fatto sapere tirando invece in ballo le responsabilità di chi ha seguito i lavori dal fronte leghista.

Alle accuse e ai sospetti della Lega, da ambienti 5 stelle rispondono punto per punto. ‘La Lega sapeva’, riferiscono fonti qualificate dell’esecutivo, e accusano che la norma sui capitali esteri – che adesso, per come è scritta, di fatto non prevede sanzioni – nella prima bozza non c’era e adesso sì. Chi ha seguito il lavoro preparatorio – durato ore e ore di vertici precedenti al consiglio dei ministri di lunedì – sostiene che l’accordo non era su questo. Se il dl fiscale non cambierà, quindi, M5s non ci metterà la faccia e non lo voterà: ‘Non siamo nati ieri. Non si fanno rientrare capitali che non si sono mai dichiarati. Stop. Non c’è niente da discutere’ sostengono i 5 stelle che aggiungono: ‘Nemmeno Conte, che ha partecipato alle riunioni, ha alcuna intenzione di farsi prendere in giro’.

Anche se Conte, ancora una volta nel suo ruolo di mediatore, cercherà di trovare una soluzione rivedendo il testo ed evitando che il conflitto tra le parti si inasprisca ulteriormente.

 Quanto al vicepremier pentastellato, è fermo sulla posizione tenuta  nel salotto di Vespa: ‘Il M5s non voterà un dl fiscale che è un salvacondotto per i furbi, per gli evasori che fanno riciclaggio e autoriciclaggio. Non possiamo rendere immuni i furbi, non possiamo votare un condono che crea uno scudo penale per chi evade. E crediamo che non lo vogliano neppure gli elettori della Lega’.

Poi ammette: ‘Adesso il tema è politico e ha bisogno di un chiarimento politico. Quindi la sede giusta è il consiglio dei ministri, ma possiamo fare anche un vertice. L’irrigidimento di queste ore va risolto. Sono contento che il premier Conte abbia convocato una riunione. Con Salvini possiamo continuare a risponderci a mezzo stampa per sempre, ma spero che possa rinunciare a qualche appuntamento e risolvere questa questione’.

Di crisi di governo parlano chiaramente le opposizioni, con il Pd che chiede che l’esecutivo riferisca in Parlamento. ‘Dobbiamo sgomberare il campo da questa farsa e vedere cosa sta accadendo realmente: sul decreto fiscale si sta consumando un duro scontro tra Salvini e Di Maio. La prima vera crisi di governo’, sostiene Pietro Grasso (Leu). ‘Credo che l’esperienza teatrale drammatica di governo Lega-5stelle possa chiudersi qui’, sentenzia Fabio Rampelli (FdI). ‘Senza una marcia indietro e un compromesso con la Ue questa manovra ci porta contro un muro. Qualcuno al Governo se ne rende conto, o sono tutti troppo presi da manine, complotti e bisticci?’, chiede Paolo Gentiloni.

Interviene anche Silvio Berlusconi: ‘Siamo alle comiche, è molto doloroso assistere a questo teatrino, questo è un governo innaturale.  E’ molto brutta l’immagine che stiamo dando in Europa oggi e anche negli scontri precedenti’.  Sul giallo della manina, l’ex premier sta con la Lega: ‘Nessuno ha cambiato nulla nel testo, ma i signori dei 5Stelle, minorati come sono, lo hanno letto in Cdm e non hanno capito niente’.

Emersione di attività estere e punibilità in particolare di alcuni reati gravi come il riciclaggio. Su questi due punti si concentra la pressione del Movimento Cinque Stelle per ottenere una nuova versione dell’articolo 9 del decreto fiscale, quello che contiene la dichiarazione integrativa. La trattativa non sarà facile: da parte leghista si insiste sul fatto che il testo è quello concordato in Consiglio dei ministri e dunque non potrà cambiare. In queste partita le questioni di tattica politica si intrecciano con quelle più squisitamente tecniche ed anche con qualche equivoco più o meno voluto.

La Lega già in campagna elettorale e poi anche nella fase di scrittura del contratto di governo aveva posto l’accento su una sanatoria relativa alle cartelle esattoriali, da ridurre drasticamente con il meccanismo del saldo e tralcio per venire incontro alle imprese in difficoltà. Ancora ieri Salvini ha fatto significativamente riferimento ad Equitalia, ma il tema del contendere sono invece i redditi non dichiarati, da far emergere e sottoporre ad una tassazione più leggera. Qualcosa che va oltre non solo la rottamazione delle cartelle, ma anche le definizioni agevolate proposte per altri atti di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, nell’ipotesi in cui questa abbia già fatto le proprie contestazioni al contribuente.

Fino a qualche giorno fa, i pentastellati avevano condotto la propria battaglia difensiva sul fronte della soglia massima, scesa da un milione a centomila euro. Quel limite si è poi allargato di fatto, perché il testo precisa che va inteso per ogni imposta e per ogni singola annualità.  Ora è difficile che su questo punto si torni indietro, al massimo potrebbero esserci ritocchi marginali. Mentre la non punibilità per il riciclaggio e l’ammissione alla sanatoria dei capitali esteri sono aspetti qualitativi ben più pesanti da gestire per il partito di Di Maio, anche e soprattutto perché richiamano quanto realizzato in tempi relativamente recenti ad esempio dal governo Berlusconi. Da un punto di vista giuridico questa forma di non punibilità si pone appena al di sotto di un provvedimento come l’amnistia, per la quale la Costituzione prevede il voto del Parlamento con la maggioranza qualificata dei due terzi. Dunque è praticamente impossibile che dai pentastellati arrivi un parere positivo, senza significative modifiche. D’altra parte i risvolti penali dell’evasione rappresentano un tema delicato che si è sempre presentato anche nelle sanatorie proposte gli anni scorsi: difficile che un contribuente voglia mettersi in regola con l’agenzia delle Entrate rischiando di autodenunciarsi alla magistratura. Senza questo elemento il rischio è che il gettito di tutta l’operazione risulti molto esiguo.

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