Operai in rivolta contro il governo da loro votato

Un lungo corteo di lavoratori, settore meccanica, le tute blu, per le vie di Milano gridava all’indirizzo del governo, ma la sensazione che se si fossero recati al seggio elettorale avrebbero votato la Lega. Una contraddizione scioperare contro un governo e votarne un partito che ne fa parte.Un intrigo che alimenta il buio economico e sociale, da cui il nostro Paese stenta ad uscire. Le lotte operaie del Novecento che pensavano di migliorare lo status economico e sociale del lavoratore, non avrebbero mai potuto immaginare che alle soglie del XXI secolo si sarebbe ritrovata una classe operaia senz’anima, disorientata e sedotta dal populismo.Lo sciopero di Milano non era rivolto verso le imprese rispetto alle quali i rapporti sono stabili e sereni e l’ultimo contratto sottoscritto ha visto la soddisfazione di entrambi i contraenti; va sottolineato che la meccanica insieme al design, al cibo e alla moda, rappresenta ancora un settore guida nell’export. Se i cinesi potessero comprerebbero volentieri una lunga lista di nostre aziende. Ma la domanda che sorge spontanea e turba il sonno degli operai è sul tempo di quanto possiamo resistere. Non vorremmo essere catastrofisti, ma il biennio 2019/20, sarà per il mondo delle imprese un otto volante e non ci riferiamo alla probabilità che circa 200 imprese grandi e piccole potrebbero chiudere, ma riguarda soprattutto il settore del Nord e il nostro peso nelle catene internazionali dell’eccellenza. Sono due le variabili che posso incidere negativamente. La prima è rappresentata dalla grande incertezza politica che regna e dalla propensione della classe di governo a programmare la recessione anche se a parole parla di crescita.La concorrenza economica nell’era globale, non passa attraverso l’eterno e ormai sorpassato conflitto tra classe operaia e padroni, ma tra aree e sistemi-Paese. Purtroppo oggi in Italia chi ha riscosso politicamente la maggioranza dei consensi non ha una visione e una cultura sistemica e gioca superficialmente con delle trovate ad uso e consumo dei social. Leader, se così si possono definire, all’industria preferiscono il web.La seconda variabile è data dalla trasformazione digitale che sta riscrivendo tutte le regole degli affari economici e del commercio in generale. Rispetto a questi scenari il nostro capitalismo insieme a tanti pregi, ha il difetto di avere scarse risorse, di investire poco e di non sostituire i vecchi capitani d’impresa che hanno abbondantemente superato la soglia degli ottanta anni; rischia di brutto. Potrebbe perdere il suo collante sistemico e diventare una galassia di fornitori e una vetrina di grandi saldi. Ma ci auguriamo che le nostre imprese si facciano sentire a voce alta dall’attuale classe politica che guida il Paese, per convincerla a ragionare e non improvvisare,; in caso contrario farsi promotore di un movimento politico unitario, che veda protagonisti operai e imprenditori, con l’aiuto di intellettuali illuminati e non asserviti, che dia vita ad una sorta di comitato di liberazione nazionale, per salvare il nostro Bel Paese.

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