Oltre lo Stretto i comuni si fondono ma la Sicilia fa eccezione…

I piccoli comuni italiani sono ottomila e ben 154 hanno meno di 150 abitanti e fanno sinergie, cercano alleanza, rinunciano ai gonfaloni, seppure a malincuore. Sono ormai tanti i piccoli comuni che promuovono o accettano accorpamenti e fusioni. L’Emilia guida la svolta ma  la Sicilia ne è rimasta fuori. Nell’Isola il solo accenno agli accorpamenti  viene considerato un tradimento. La piccola patria, insomma, va salvaguardata, costi quel che costi.  Sindaco e giunta costano poco o niente, e le tradizioni si rispettano. In più, i siciliani non avrebbero la cultura dello stare insieme, come provano gli ‘ambiti territoriali’ che accorpano servizi di prima necessità in Sicilia. A mettersi di traverso è Fiorello Primi, presidente dei borghi più belli d’Italia. In un una lettera al presidente dell’Anci, Fassino, Primi avverte che la razionalizzazione amministrativa non ridurrà significativamente la spesa pubblica, ma depotenzierà la competitività del Paese, unica al mondo nei profili identitari. Perciò lancia un appello affinché vengano tutelate l’identità, la storia, il senso di appartenenza. Il ‘Corriere della Sera’ ha dedicato agli accorpamenti e alle fusioni dei piccoli comuni una breve inchiesta, che fa il punto della situazione. Il quotidiano di via Solferino ha scoperto che Ligonchio, patria di Iva Zanicchi, non c’è più. Da due mesi, anno 2016, ha mutato il suo nome in Ventasso. Al pari di Busana, Collagna e Ramiseto, che hanno rinunciato al loro ‘campanile’ per far star meglio i loro cittadini. Una questione di sopravvivenza, si giustificano i sindaci. Altrimenti strade impraticabili, scuole malmesse e tutto il resto. Di necessità virtù. In Emilia gli accorpamenti non si contano più e da 348 i comuni sono scesi a 334, presto diverranno 323. Il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, ha tracciato una road map, in fondo alla quale c’è quota 300. Non sono infatti solo i comuni emiliani ad avere messo da parte le piccole patrie. E’ accaduta la stessa cosa in Lombardia e Toscana, nelle Marche, in Trentino, in Piemonte e in Liguria. Gli accorpamenti e le fusioni hanno modificato cartelli stradali, uffici anagrafe, servizi sociali. Il Sud, invece, non butta giù i suoi campanili. I cartelli stradali, gli uffici anagrafe, la gestione della polizia municipale e dei servizi sociali non si toccano e ognuno per conto suo. Al di là dello Stretto si corre ai ripari per fare cassa. Montecatini si chiamerà Valdinievole, Cupra Marittima e Grottammare hanno adottato lo steso gonfalone, Nocera non sarà più Superiore e Inferiore, ma una sola. In Emilia è sorto il primo Comune unificato più grande d’Italia, si chiama Valsamoggia. Al referendum consultivo, tre dei cinque paesi (Crespellano, Monteveglio, Castello di Serravalle) hanno votato a favore, due contro (Bazzano e Savigno). In Sicilia Su 390 Comuni, 31 hanno meno di 1.000 abitanti, 93  meno di 3000 abitanti. Messina è l’ex provincia più ricca di piccoli comuni, ne ha ben 23 comuni con meno di mille abitanti su un totale di 108. Nel 2011, agli albori della legge sull’abolizione delle province, furono considerati perciò a rischio Antillo, Casalvecchio Siculo, Malfa, Tripi, Forza d’Agrò, Limina, Motta Camastra, Santa Marina Salina, Reitano, Motta d’Affermo, Alì, Malvagna, Frazzanò, Moio Alcantara, Roccella Valdemone, Leni, Basicò, Mongiuffi Melia, Mandanici, Floresta, Condrò, Gallodoro e Roccafiorita. Fu un allarme ingiustificato. In Sicilia prevale la legge di Lavoiser, nulla si crea e nulla si distrugge. Anche quando sembra il contrario. Restano in piedi in Sicilia, tanto per fare qualche esempio, Roccafiorita con 209 residenti, Gallodoro con 363, Floresta con 493, Condrò con 500, Campofelice di Fitalia con 509 e Mangiulfi Melia con 611. La nota positiva è che fra i 154 comuni con meno di 150 abitanti, non c’è alcun comune siciliano.

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