Ocse: infelicità al quadrato

Una relazione dell’ OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha constatato che la percentuale di giovani under 29 affetti da sintomi depressivi e disagi psicologici, in Europa, è aumentata esponenzialmente rispetto agli anni pre-covid.

L’ampio documento ‘Health at a Glance: Europe 2022’ si innesta, come sottolineato nella prefazione, in un periodo di crisi e incertezze: la comunità europea (così come il mondo) è stata sconvolta, in primo luogo, dalla pandemia e poi, proprio quando stava iniziano un lento processo di ripresa, dalla guerra russo-ucraìna. L’OCSE si pone, quindi, l’obiettivo di operare al meglio sul miglioramento dei sistemi sanitari europei. La ricerca concerne ogni aspetto della salute e della sua prevenzione: dai maggiori fattori di rischio per i cittadini (tabacco, droghe, disordini alimentari) all’accessibilità ed efficacia delle cure, fino alla rassegna degli errori commessi negli anni critici del 2020 e del 2021.

Ma prima di qualsiasi altro problema, nel documento, si analizza la salute mentale dei giovani e il suo evidente aggravamento causa COVID-19.  Il peggioramento della condizione psicologica dei ragazzi è stato, dall’inizio della pandemia, argomento di dibattito e discussione, ma questa relazione quantizza definitivamente l’entità del danno. “I sintomi di depressione sono più che raddoppiati in molti paesi europei”: questo il titolo del paragrafo, che presenta un grafico sconcertante. Considerati i numeri (già terrificanti) del 2019, secondo cui una persona (dai 15 ai 29 anni) su sei fosse affetta da problemi di salute mentale, oggi la media europea è di uno su quattro per la depressione e uno su cinque per l’ansia. In Norvegia, Svezia e Islanda, le persone affette da sintomi depressivi sono, addirittura, una su tre. In Italia, il 24% dei ragazzi afferma di avere una salute mentale precaria, superando la percentuale degli adulti affetti dalle stesse problematiche (14%) quando, nel 2019, la tendenza era invertita. Oltre nove istituti su dieci, in tutta Europa, hanno registrato un aumento dei giovani in ricovero per depressione. Il numero di persone affette da sintomi è sempre aumentato in corrispondenza dei picchi pandemici.

Le cause sono molteplici: la pandemia ha portato con sé precarietà e mancanza di prospettiva in un futuro che, comunque, non appare affatto roseo; ha aumentato distanze in un periodo in cui c’era disperato bisogno di accorciarle; ha costretto a fare i conti con le proprie visioni ed aspettative risultate, d’un colpo, irrealizzabili. Ha anche finito per “evidenziare le corrispondenze tra reddito, disuguaglianza e salute mentale”. Secondo le ultime ricerche svolte in Belgio e Finlandia, le donne tendono ad essere più ansiose e depresse rispetto agli uomini; nel Regno Unito, gli appartenenti alla comunità LGBTQ+ sono risultati più vulnerabili e in Austria, la salute mentale delle minoranze è meno stabile del resto della popolazione.

I dati del 2022 risultano (anche se di poco) più incoraggianti: nella primavera dell’anno scorso, la percentuale media europea delle persone che dichiarano di aver bisogno di assistenza è diminuita dal 53% del 2021 al 49%. Secondo l’OCSE, l’Italia è tra i 22 paesi europei che hanno investito per assicurare assistenza psicologica nelle scuole primarie e secondarie, almeno nel biennio 2021-2022. Non sono invece previsti programmi per quest’anno scolastico, ormai giunto al termine.

La conclusione è amara: la situazione rimane critica, così come lo era prima della pandemia. E l’Italia non compare in nessuna delle didascalie: le ricerche sulla salute mentale giovanile, infatti, sono state condotte soltanto in paesi nord europei. La speranza, in questo caso, c’è: di necessità si può sempre far virtù, come eravamo soliti dire, per un’assistenza più accessibile e meno stigmatizzata.

di Alice Franceschi

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