Nuova legge elettorale e patto segreto tra Meloni e Schlein che parte dalla scelta del candidato premier indicato in anticipo

La riforma della legge elettorale è un classico di ogni legislatura, con la maggioranza di turno che prova ad acconciarsi il sistema elettorale che più la potrebbe favorire. Basterà ricordare di Silvio Berlusconi che attraverso il Porcellum sostituì il Mattarellum o temere a mente di Matteo Renzi che ci provò con l’Italicum, bocciato dalla Corte costituzionale, e con il proporzionale con sbarramento al 5% affossato dalla Camera.

Di norma le leggi elettorali vanno cambiate nell’ultimo anno di legislatura ma la discussione nasce oggi anche se le prossime elezioni politiche si dovrebbero tenere solo a giugno 2027, con soli tre mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura e ci si chiede quale sia l’interesse della premier a cambiare la legge elettorale che l’ha fatta vincere tre anni fa quando il suo partito è fortemente primo nei sondaggi, tra il 28 e il 30%, e la coalizione di centrodestra supera la somma delle opposizioni.

Giorgia Meloni aveva chiarito che se la riforma del premierato non dovesse essere pronta all’uso in tempo per la prossima legislatura, la legge elettorale con cui andremo a votare tra la fine del 2027 e l’inizio del 2028 potrà subire “migliorie”. L’attuale legge elettorale – ossia il Rosatellum, basato sul 37% di collegi uninominali e per il resto su un proporzionale con liste bloccate – ha agli occhi della premier il difetto di costringerla a una trattativa con i partiti minori del centrodestra per la “spartizione” dei collegi uninominali. Oggi la Lega, ad esempio, nel 2022 ha ben fatto pesare il suo radicamento al Nord, con 94 parlamentari sul totale di 600, corrispondenti al 16 per cento degli eletti, quando alle urne prese poco meno del 9%. C’è poi il dato di fatto che con il Rosatellum non c’è la certezza della vittoria: nel 2018 l’esito è stato quello di nessuna maggioranza, tanto che nella scorsa legislatura sono nati tre governi di segno politico diverso (giallo-verde M5s-Lega, giallo-rosso a guida M5s-Pd, la grande coalizione di Draghi); al contrario nel 2022, grazie al fatto che il centrosinistra si è presentato diviso in tre (Pd con Avs e Più Europa, M5s da solo e Terzo polo di Renzi e Calenda), il centrodestra è riuscito a vincere nella quasi totalità dei collegi ottenendo una maggioranza molto forte.

Negli ultimi giorni, numerose indiscrezioni di stampa hanno raccolto la proposta che Fratelli d’Italia porterà avanti.Si parlerebbe di un sistema proporzionale con un premio di maggioranza sostanzioso, come il Porcellum ma con le modifiche necessarie per non essere dichiarato incostituzionale. E con l’obbligo di indicare il ‘candidato presidente del Consiglio’ della coalizione prima che si vada alle urne. Un premierato di fatto, per gli elettori, anche se la riforma vera e propria non dovesse concludersi entro la legislatura. L’iniziativa nasce, come spesso accade per le riforme elettorali, perché il partito al potere vuole cercare di assicurarsi un sistema di calcolo dei voti che lo favorisca. E anche se FdI è arrivato alla guida del Paese con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, ha dovuto fare diverse concessioni a Forza Italia e alla Lega (che si ritrova con un numero di parlamentari molto più alto rispetto alla quantità di voti presa). In più, se le opposizioni dovessero trovare un accordo per presentarsi unite, con l’attuale sistema potrebbero riuscire a togliere la maggioranza al centrodestra.

Da qui l’intenzione di cambiare il sistema elettorale. L’ipotesi di partenza sarebbe questa: una legge proporzionale, che assegni alla coalizione che supera il 40% dei voti un premio di maggioranza pari al 55% dei seggi. Un modello simile al Porcellum, come detto, ma con la differenza sostanziale che per ottenere il premio di maggioranza bisognerebbe raggiungere, appunto, la soglia del 40%. Nella legge Calderoli del 2005, invece, al Senato bastava prendere più voti degli altri per avere il premio, e questo aspetto fu poi dichiarato incostituzionale.Con questa norma, il centrodestra potrebbe essere praticamente certo di avere il 55% dei seggi e quindi una maggioranza stabile. Nei sondaggi, le forze della coalizione oscillano solitamente tra il 46% e il 49%. Certo, sondaggi alla mano se tutti i partiti dell’opposizione si unissero potrebbero superare anche loro il 40% dei voti, e a seconda delle proiezioni anche prendere qualche voto in più del centrodestra. Ma Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni sanno che, oggi, è quasi impossibile immaginare una coalizione di centrosinistra che si presenta alle urne come forza unitaria, da Azione a Verdi-Sinistra. Al netto di ciò che può cambiare nei prossimi due anni, quindi, puntare su un proporzionale con premio di maggioranza potrebbe essere il modo più ‘sicuro’ per assicurare un’altra legislatura alla destra. L’unico modo per non arrivare al premio sarebbe se uno dei tre partiti principali che lo compongono si sfilasse, cosa che per ora è ritenuta molto improbabile. In quel caso, se nessuno superasse il 40% dei voti, le opzioni sarebbero due: un ballottaggio tra le due coalizioni che hanno ottenuto più voti, oppure nessun ulteriore premio e si resta così, con i rapporti di forza che sono emersi dalle urne.

La scelta del ‘candidato premier’ in anticipo
Un altro tema tecnico è quello di come gli elettori potranno scegliere i candidati: liste bloccate o preferenze? L’ipotesi di partenza sarebbe quella di creare delle liste bloccate ma brevi, composte da tre o quattro persone, così che l’elettore sappia chi sta scegliendo. Oppure, in alternativa, lasciare che solo il capolista sia un nome bloccato (e quindi scelto dal partito) e per tutti gli altri aprire alle preferenze.

Una questione più spinosa per il centrosinistra, però, potrebbe essere la questione del ‘candidato presidente del Consiglio’. La legge, infatti, potrebbe richiedere a ciascuna coalizione di far sapere agli elettori chi è la persona che indicherà come guida del governo in caso di vittoria.

È una prassi a cui la destra punta da tempo (basta pensare che ufficialmente il nome della Lega è Lega per Salvini premier), e che per l’attuale maggioranza non creerebbe alcun problema. Non c’è nessuno che possa seriamente mettere in discussione la leadership di Giorgia Meloni, al momento.

Per le opposizioni invece il dibattito potrebbe essere complicato. Al momento il partito più votato è il Pd, e la sua segretaria è Elly Schlein, che quindi potrebbe sembrare una candidata ‘naturale’ per il ruolo. Ma è noto che Giuseppe Conte vorrebbe, un giorno, tornare alla guida del governo. E in ogni caso non sembra facile che il Movimento 5 stelle sia pronto a fare una campagna elettorale per Schlein premier, ad esempio. Lo stesso vale, ancor più, per forze come Azione di Carlo Calenda. Insomma, se anche i partiti dell’opposizione trovassero una quadra per coalizzarsi, la scelta di una figura come candidata alla guida del governo potrebbe creare ulteriori malumori interni.

Il presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato Alberto Balboni, esperto di riforme di Fratelli d’Italia ha precisato con forza che “c’è un’ampia convergenza per l’indicazione del candidato alla presidenza del Consiglio sulla scheda elettorale”. E questa “ampia convergenza” non può che essere con il Partito Democratico e in particolare con la segretaria Elly Schlein e con i suoi fedelissimi.

E’ evidente a tutti che indicare sulla scheda elettorale per le elezioni politiche il candidato premier sia un obiettivo comune di Giorgia Meloni e della leader Dem. Una sorta di patto segreto implicito tra le due donne così diverse ma entrambe protagoniste assolute della politica una alla guida del Centrodestra e del governo e l’altra nettamente al vertice del primo partito di opposizione senza rivali. Non a caso la Lega e in parte anche Forza Italia da una parte e il M5S e i centristi dall’altra, parlano di “altre priorità” rispetto alla legge elettorale e soprattutto non sono d’accordo con le parole pronunciate dal presidente Balboni.

E’ chiaro che una riforma elettorale di questo genere, che includerebbe il sistema proporzionale ma con premio di maggioranza modello Regionali, andrebbe benissimo a FdI e Dem. E infatti sta proprio qui la convergenza tra i due principali partiti italiani. Una convergenza che serve a placare gli animi e i toni dei rispettivi alleati minori. E” del tutto evidente che sia Salvini che Conte da soli non andrebbero da nessuna parte e quindi la premier, sempre ben consigliata dalla sorella Arianna Meloni, accelera sull’indicazione del candidato premier sulla scheda elettorale sapendo di avere una sponda solida e forte nella segretaria del Pd.

Che poi si corra davvero alle elezioni anticipate a inizio 2026, come ha scritto Affaritaliani.it, che converrebbero a entrambe le due leader donne, o che alle urne si vada a scadenza naturale della legislatura (primavera 2027 perché se si votasse in autunno non ci sarebbe il tempo per fare la Legge di Bilancio, o comunque sarebbe una manovra varata di corsa) poco cambia. Il patto segreto Meloni-Schlein è chiaro: il candidato premier sulla scheda delle prossime Politiche. E chi saranno le due principale sfidanti? Ovviamente Meloni e Schlein. Ecco dove sta la convergenza.

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